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di PIERFRANCESCO PACODA
«SIAMO venuti qui per vedere la Luna e scopriamo invece la bellezza della terra». Queste parole, prese in prestito dalle prime frasi pronunciate dall’astronauta Aldrin, mentre il suo piede toccava il suolo della luna e lui, da lì, ammirava la forma lontana del nostro pianeta, le ha dette ieri Vincenzo Balzani nel suo intervento al ‘Cortile dei Gentili’. Un ‘luogo di incontro’ sollecitato da Papa Benedetto XVI e messo in pratica dal Cardinale Gianfranco Ravasi, che il 24 marzo lo inaugurerà a Parigi, con un collegamento, tra gli altri, in video conferenza del Pontefice. Nella prolusione a questo importante evento, che il rettore Ivano Dionigi ha con orgoglio accettato di ospitare nell’Aula Magna di Santa Lucia, il confronto sulla relazione tra credenti e non credenti ha evidenziato la necessità di riscoprire una centralità dell’essere, dell’uomo come motore di un dialogo che l’Università, per sua naturale vocazione, deve custodire e promuovere.
QUESTO era, nella antica Gerusalemme, il Cortile dei Gentili, lo spazio nel tempio al quale avevano accesso anche gli uomini di fede non ebraica. Un’area dove il principio che regna è quello della dialettica, perché comuni, al di là del nostro modo di vivere il trascendente, sono gli interessi ultimi. Ad iniziare proprio da quello evidenziato da Balzani nel suo intervento ‘Un alleanza per custodire il pianeta terra’. Perché di questo si tratta, e di questo si sono occupati, sotto diversi aspetti tutti i relatori. Prendere coscienza dell’importanza delle questioni decisive, che ci uniscono in quanto abitanti in via transitoria di un luogo che abbiamo ricevuto in eredità e che dobbiamo consegnare, nella migliore maniera possibile, alle future generazioni.
QUEL LUOGO che solo l’infinita lontananza dello sguardo, finalmente distaccato, ha permesso ad Aldrin di cogliere, sino in fondo, nel suo splendore. E in questo cortile, ognuno, ha sottolineato Dionigi, senza abiurare le proprie posizioni, deve arricchire la sua formazione, porsi questioni. Specie in tempi dominati, ha detto il Rettore, da due «barbari» dei quali tenere conto, la globalizzazione (perfettamente rappresentata da internet) e le culture ‘altre’. La sfida, autentica della contemporaneità, insomma, sta nel coraggio di avventurarsi in terreni ignoti. L’unica alternativa possibile è, altrimenti, il fanatismo. Questo significa, come ha raccontato il Cardinale Ravasi, ricorrere a un pensiero capace di far accasare la parola, il rispetto dell’altro. Dice Ravasi «Abbiamo pensato di escludere (ed è una esclusione necessaria), i troppo poco atei, gli indifferenti», che Massimo Cacciari ha definito «i nichilisti, a cui non resta altro da fare che ricorrere allo sberleffo, al negare il male, che vuol dire in fondo negare anche il bene». Quelli, ha detto il filosofo veneziano, che a volte la Chiesa scambia per possibili alleati.
NON APPARTIENE a loro l’auspicata «laicità come metodo», teorizzata da Augusto Barbera, che deve stimolare l’indispensabile convivenza delle posizioni dei credenti e dei non credenti, anche di fronte alla complessità emergente dei cosiddetti «nuovi diritti», dove scienza, etica e religione si intrecciano. Un panorama nel quale il laico e il credente possono comunque confrontarsi partendo da un sentire che li lega, come ha detto nel suo intervento Sergio Givone, la scandalosità del male. È un invito, insomma, che la Chiesa, con le parole del Cardinale Ravasi, rivolge al «fratello ateo», attraversare insieme il deserto dell’indifferenza, per raggiungere finalmente quello che David Maria Turoldo ha chiamato il ‘Nudo Essere’.