Aborti, i casi tornano a calare Ma non tra le ragazze più giovani

Sono 121 le interruzioni volontarie di gravidanza tra le residenti nel circondario, nel 2020 furono 150. Il 10% ha meno di 20 anni, una quota molto maggiore rispetto alla media regionale ferma al 6%

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di Enrico Agnessi

Torna a scendere, dopo l’inaspettato aumento di dodici mesi fa, il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza nel circondario. I dati contenuti nel report diffuso dalla Regione, che fanno riferimento al 2021, parlano infatti di 115 casi registrati in un anno (l’87% relativi a donne residenti nel territorio di competenza dell’Ausl di Imola) contro i 148 del 2020 e i 132 del 2019.

In realtà, il numero complessivo di donne del circondario che interrompono la gravidanza, comprese quelle che per farlo si rivolgono alle altre Aziende sanitarie della regione, è più alto. Nel 2021 siamo infatti a 121: 76 italiane e 45 straniere. Anche in questo caso, però, il trend è in diminuzione: nel 2020 l’asticella si era fermata a 150 e l’anno prima a 153.

C’è tuttavia un dato, in controtendenza rispetto al recente passato, al quale prestare particolare attenzione. Nel circondario crescono nettamente, almeno dal punto di vista percentuale, le interruzioni di gravidanza tra le giovanissime. Quasi il 10% ha infatti al massimo 19 anni. Una quota più alta della media regionale (ferma al 6%) e, come già accennato, in forte crescita rispetto al 3,3% registrato nel 2020 nel circondario. Una percentuale triplicata, dunque, nel giro di un anno, a fronte di un quadro che, nel resto dell’Emilia-Romagna, è rimasto invece pressoché immutato. Incide però, almeno in parte, anche il fatto di ragionare, per quanto riguarda Imola, su numeri assoluti più piccoli e dunque soggetti a maggiori oscillazioni a livello percentuale.

Altre differenze significative rispetto al resto della regione riguardano il luogo della certificazione dell’interruzione di gravidanza. Il 79,3% delle donne imolesi (intese come residenti in uno dei dieci comuni del territorio) la ottiene dal consultorio pubblico, contro una media in Emilia-Romagna del 73,7%.

Inversamente, nel circondario solo il 4,1% si rivolge al proprio medico di fiducia per la certificazione, contro una media regionale del 12,2%.

Ci sono poi i tempi di attesa, vale a dire il numero di giorni tra la data di intervento e quella di emissione del certificato. Nel territorio di riferimento dell’Ausl di Imola tale finestra è compresa entro sette giorni nel 24,3% dei casi (media regionale 52,9%), mentre nel 57,4% delle circostanze il tutto avviene tra gli 8 e i 14 giorni (40,4% nel resto dell’Emilia-Romagna) e nel 13% tra i 15 e 21 giorni (media regionale 4,8%).

Rispetto a quanto accade altrove, nel circondario è molto bassa la percentuale delle interruzioni di gravidanza urgenti: siamo infatti solo al 13,9% contro una media regionale del 29,3%. Qualche differenza la si riscontra anche dal punto di vista della terapia antalgica utilizzata dall’Ausl di Imola. Escluse le interruzioni di gravidanza farmacologiche, si opera in anestesia generale nel 59,2% dei casi (media regionale 46,5%), nel 26,5% con sedazione profonda (35,7% in Emilia-Romagna) e nell’8,2% delle circostanze in analgesia senza anestesia (4,7%). La pillola abortiva Ru486 è stata usata, nel 2021, da 66 pazienti seguite dall’Ausl di Imola su 121. Prendendo in considerazione solo le residenti sul territorio, che sono 65, si tratta del dato più alto di tutta la regione: 98,5% contro una media dell’89,8%.

A questo proposito, va detto che l’Emilia-Romagna, dopo aver aperto nelle scorse settimane le porte dei consultori familiari di Parma, Modena e distretto Ovest di Ferrara per la somministrazione della pillola Ru486, si appresta ad estendere questa possibilità anche ad altre città della regione: entro fine anno a Bologna, Ravenna, Cattolica, Reggio Emilia e Piacenza; ma non ancora a Imola.

"I dati 2021 fanno registrare il numero di interruzioni volontarie di gravidanza più basso in assoluto – commenta l’assessore alle Politiche per la salute, Raffaele Donini –. Non solo: ci confermano anche che il ricorso al trattamento farmacologico non ha comportato un aumento nel numero dei casi, ma ha portato ad un’anticipazione, in termini di età gestazionale, dell’interruzione e ad una riduzione dei tempi di attesa".