Autodromo tempio della musica I Pearl Jam infiammano 60mila fan

Il paddock ribolle di passione per Eddie Vedder e soci in concerto sul palco ai piedi della Rivazza

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di Enrico Agnessi

Un altro tassello al posto giusto. Se a fine maggio il ritorno di Vasco aveva voluto dire, per l’Autodromo, riprendere un discorso chiuso bruscamente a metà degli anni Duemila, lo show di ieri sera rappresenta per il circuito l’ideale chiusura di un cerchio iniziato nell’era post-Heineken. I Pearl Jam che stregano i 60mila arrivati all’Enzo e Dino Ferrari da tutta Italia (e non solo) mettendo insieme brani storici e nuove hit, sono il favoloso terzo atto di un’epopea che, in poco più di un lustro e con in mezzo una pandemia, ha portato in riva al Santerno tre dei migliori gruppi rock di tutti i tempi: ACDC, Guns N’ Roses e appunto la band di Seattle.

L’Autodromo tempio della musica, oltre che dei motori nell’anno del ritorno del Gran premio di Formula Uno a porte aperte, si conferma certezza granitica. Ci sono un paio di gradi in meno rispetto agli ultimi giorni roventi, ma il paddock ribolle ugualmente di passione per Eddie Vedder e soci. L’enorme palco è allestito nel punto più lontano dall’ingresso principale dell’impianto, a pochi passi dal nuovo centro medico e letteralmente ai piedi della Rivazza, con la collina che resta chiusa per l’occasione ma tornerà ad animarsi sabato prossimo per Cesare Cremonini, quando il numero di spettatori lieviterà forse fino a 70mila presenze.

Una disposizione, quella di ieri sera, vista di recente solo nel 2016, quando Laura Pausini aveva scelto Imola per la ‘data zero’ del suo tour negli stadi andato in scena quell’anno. Ma era appunto una sorta di prova generale, con poche migliaia di spettatori presenti. Stavolta invece, grazie all’abbattimento del vecchio centro medico e alla costruzione del nuovo in un punto più defilato del paddock che permette una capienza maggiore, la musica è diversa. E lo spartito ce l’hanno i Pearl Jam.

Si parte alle 21.37 con Corduroy, si va avanti con Even Flow e Why go. Il pubblico apprezza. "Siamo sempre onorati di suonare in Italia - ammicca Vedder dal palco -, ma questa sera è la più speciale. Durante il Covid sognavo l’Italia, mi sembrava tutto reale. E quando mi svegliavo ero triste. Quindi vi chiedo: è reale? Sono qui? Voi ci siete? Il sogno si avvera? È come nel sogno, è meglio del sogno".

La giornata da sogno dell’Autodromo inizia come al solito presto. I primi arrivi già in mattinata, con l’apertura dei cancelli all’ora di pranzo. Ma il grosso del pubblico si palesa in riva al Santerno solo a partire dal tardo pomeriggio. Il miglio che separa la stazione ferroviaria dall’Autodromo si anima con il passare del cento. Per la gioia dei chioschetti che spillano birre.

Il merchandising messo a punto dallo staff dei Pearl Jam per l’occasione è a tema: poster celebrativo con una caricatura di Dante e maglietta con un omaggio al Cavallino rampante (rivisitato) vanno a ruba. Si entra tutti da viale Dante: gli iscritti al fan club godono di un ingresso riservato che permette loro di tagliare la strada passando accanto alla torre per sfilare poi nel paddock; gli altri devono fare il sottopasso di via Malsicura e da lì accedere in pista per seguire poi analogo percorso. Dentro la divisione è, come al solito, tra ‘pit-gold’ a ridosso del palco e ‘posto unico’ qualche decina di metri più dietro. La Rivazza, come detto, resta chiusa anche per evitare che un eccessivo sparpagliamento degli spettatori rovini il colpo d’occhio.

Nel tardo pomeriggio tocca ai gruppi di supporto: sul palco salgono i White Reaper e i Pixies, questi ultimi vecchia conoscenza dell’Autodromo ai tempi dell’Heineken. Il buio accompagna l’ingresso dei Pearl Jam: è un crescendo che culmina nella mitica Alive.

Dopo il concerto, via al lungo deflusso che va avanti per ore. Tra una settimana si replica con Cremonini. Imola, come cantava un altro bolognese, Luca Carboni a proposito della sua città, è una regola. O almeno vuole diventarlo.