Imola, negato il permesso di soggiorno alla badante infedele

La donna aveva fatto sparire 47mila euro dalla casa dell’anziano che assisteva. Ora il Tar dice no al rinnovo

La donna, oggi 57enne, è di nazionalità ucraina

La donna, oggi 57enne, è di nazionalità ucraina

Imola, 28 giugno 2020 - Era finita al centro delle cronache qualche anno fa, nel 2012, quando aveva fatto sparire, assieme a un complice, 47mila euro che l’anziano per il quale lavorava come badante nascondeva in casa. Per quella vicenda, a fine 2017, è stata condannata a un anno e quattro mesi. Così, ora che ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno, le è stato negato. E dunque non potrà più rimanere in Italia. Protagonista di questa storia è una donna di nazionalità ucraina, all’epoca dei fatti 49enne. A gennaio di quest’anno la Prefettura ha respinto il ricorso che la badante aveva presentato nei confronti del provvedimento, emesso a fine 2018, dalla Questura di Bologna. E che in sostanza negava il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato. La donna ha però impugnato i provvedimenti, contestando "l’illegittimità" delle due decisioni in quanto, secondo i suoi avvocati, si sarebbero velificati "plurimi profili di eccesso di potere", quali "carenza di motivazione e di istruttoria, ingiustizia manifesta, mancanza di idonei parametri di riferimento". La prima sezione del Tar dell’Emilia-Romagna, con una sentenza resa nota nei giorni scorsi, ha però ritenuto il ricorso della badante infondato. I giudici amministrativi regionali hanno infatti ritenuto i provvedimenti di Questura e Prefettura "congruamente motivati sulla base della pericolosità sociale" della badante. E il motivo per il quale la donna, oggi 57enne, non potrà più soggiornare in Italia sta appunto nella condanna che le è stata inflitta a fine 2017. E cioè: un anno e quattro di reclusione, più 400 euro di multa, perché responsabile di furto aggravato in concorso. "Approfittando della fiducia in lei riposta dal suo datore di lavoro, e abusando della sua condizione di badante della vittima, forniva le indicazioni necessarie – ricordano i giudici nella loro sentenza – affinché il complice potesse introdursi nell’abitazione della vittima e compiere materialmente il furto di una grossa somma di denaro, causando un ingente danno patrimoniale". Secondo il Tar, la condanna per tale reato "rientra tra gli elementi ostativi alla permanenza sul territorio nazionale". E inoltre, siccome è stato commesso dalla badante in danno del proprio datore di lavoro, "e quindi abusando della propria posizione di lavoratrice domestica e della fiducia in lei riposta, è elemento univocamente denotante mancato rispetto delle regole di civile convivenza – sottolineano i giudici amministrativi –, pericolosità sociale e oggettivo mancato inserimento nel tessuto sociale-lavorativo italiano". Facendo propria la posizione della Prefettura, il Tar osserva infatti che "nel contrapposto bilanciamento degli interessi di cui sono portatrici le parti in causa, l’interesse pubblico a non consentire ulteriormente la permanenza in Italia della cittadina ucraina prevale nettamente, in relazione alla gravità oggettiva del reato commesso dalla ricorrente e alla pericolosità sociale da questa dimostrata, sul contrapposto interesse della cittad ina ucraina a rimanere in Italia insieme alla figlia". Tuttavia, tenuto conto della "peculiarità della vicenda esaminata", i giudici amministrativi hanno stabilito di disporre la compensazione delle spese tra le parti.