"Così il gruppo si trasforma in branco"

La psichiatra Michela Casoria: "La realtà virtuale dei social rischia di prendere il sopravvento sulla vita vera. E l’omicidio diventa un film"

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di Marco Signorini

"Sì, purtroppo si può arrivare ad uccidere anche per il modo in cui si è pettinati o per il semplice colore dei capelli".

Non ha dubbi la dottoressa Michela Casoria, specialista in psichiatria, di fronte all’ennesimo fatto di sangue che vede protagonisti dei giovani.

Dottoressa, quello che è accaduto lo scorso weekend a Castel del Rio ricorda la storia del ‘Lupo e dell’agnello’ di Fedro. In pratica, se l’intenzione è quella di provocare e litigare anche la scusa più banale diventa quella giusta. E’ uno sbaglio dire che siamo tutti più ’incattiviti’, in particolare i giovani?

"La società in generale, e quindi anche i nostri giovani, è sempre più esasperata. Ognuno di noi, riguardo a se stesso, ha aspettative sempre più elevate, dall’aspetto fisico a quello economico. Sentiamo quasi il ’dovere’ di raggiungere traguardi estremamente ambiziosi e il non riuscirci ci carica di frustrazioni che in qualche modo devono essere sfogate, fino purtroppo al modo più estremo come è successo a Castel del Rio".

E il gruppo, spesso, può fare da ’amplificatore’...

"Certamente, ma dobbiamo stare attenti a non generalizzare. I gruppi possono essere anche molto utili alla crescita dei ragazzi. Anzi, possono rappresentare un luogo dove ribellione e trasgressività vengono incanalate trasformandosi in una sorta di energia propulsiva per cambiare la stessa società, come per esempio avvenne con i movimenti del ’68".

Ma i gruppi dei ’giorni nostri’, non tutti ovviamente, sembrano basati su valori più effimeri e spesso assomigliano a branchi...

"Ci sono ragazzi che si fermano all’aspetto fisico, all’apparenza, a quel film su se stesso che ognuno di noi vuole raccontare sui social. Se i valori che stanno alla base di un gruppo sono questi è ovvio che poi si destruttura l’intero concetto di persona".

Alcuni ragazzi che hanno assistito al tragico finale della rissa, pare abbiano avuto proprio questa sensazione: quella di trovarsi in un film. E’ l’effetto social?

"Torniamo al discorso di prima. E’ evidente che i social stanno contribuendo alla fusione di due concetti che è in realtà sono piuttosto distanti l’uno dall’altro: l’essere e l’apparire. Inoltre, purtroppo, possono contribuire ad amplificare quella che viene definita invidia sociale. Su queste ’bacheche’ virtuali vediamo conoscenti, amici o illustri sconosciuti in posa per belle fotografie, magari immersi in paesaggi meravigliosi. Vediamo persone felici o apparentemente felici e magari noi, per un motivo o per l’altro, non lo siamo. Una situazione che può contribuire a innalzare ulteriormente il livello di rabbia nelle persone più fragili".

Ma la famiglia che ruolo può avere?

"Ormai viviamo in una società in cui genitori e figli e magari anche i nonni hanno un profilo social. Il consiglio è quello di staccare gli occhi da tablet e smartphone e parlare di più. Il confronto è l’unico modo per capire cosa c’è dentro i nostri figli anche se l’adolescenza è una fase della vita molto delicata e molte cose ’possono scappare’ anche a mamme e papà profondamente impegnati nell’educazione dei ragazzi".

Forse servirebbe anche una maggiore attenzione delle istituzioni...

"Sicuramente. I servizi relativi alla salute mentale sono in sofferenza da anni. E’ fondamentale un’inversione di tendenza".