Da giornalista a pioniere del vino La vita straordinaria di Navacchia

L’ultimo pensiero alla moglie Thea, scomparsa nel 1990: "Le parlo spesso, so che mi sta aspettando"

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di Valerio

Baroncini

L’ora più buia è una festa di luce: Sergio e Thea insieme, per sempre. Perché Sergio, il nostro Sergio Navacchia, non c’è più: stava male da alcuni giorni, ieri mattina la notizia più brutta da raccontare. E chi l’ha conosciuto nell’intimo, chi l’ha sentito per anni parlare attorno alla tavola che era tutto – casa, parlamentino, salotto, tempio pagano e monumento d’eleganza raffinata al trebbo tipico della tradizione romagnola – sa che Thea, la moglie morta nel 1990, era per lui davvero... tutto. "Io le parlo tutti i giorni, sai. Lei mi aspetta. Mi consola sapere che la famiglia andrà avanti con i Tre Monti e che c’è già una nuova generazione pronta": mi aveva raccontato questo, pochi giorni fa, attorno alla tavola. C’erano ostriche, c’erano bottiglie francesi e c’era Vitalba, l’albana in anfora georgiana di cui tanto andava fiero. E c’era Thea, che è anche il nome del vino di punta. Perché parlare di Sergio Navacchia e della cantina Tre Monti, oggi, non è solo celebrare un pioniere del vino, un alfiere della Romagna, un colto interprete della nostra società, un dirigente Rai negli anni della nuova frontiera televisiva. È soprattutto raccontare una famiglia, normale, che ha costruito percorsi speciali.

Classe 1933, Sergio non nasce imprenditore del vino. La sua è una carriera nella Rai, nel giornalismo attivo, nelle sedi d’Italia: Firenze, Trieste, Roma. All’inizio degli anni Ottanta su Radio3 ecco Prima Pagina, rassegna stampa mattutina che fu poi imitata da tutte le altre radio e tv. Andava in onda tra le 7.30 e le 8.30 e tra gli ascoltatori più attenti c’era il presidente della Repubblica Sandro Pertini. Non è un caso che nella grande casa adagiata fra le vigne sui Tre Monti ci sia una pipa, custodita fra le cose più care. Era la pipa di Pertini. La vita di Sergio Navacchia è sempre stata fatta di incontri importanti: politici, giornalisti, istituzioni. Gianni Letta, ma anche Pierluigi Bersani e molti altri.

Imola era ai suoi piedi. Fisicamente, perché da casa sua e dalle sue vigne si domina la città. Ed emotivamente: non in senso di subordinazione, piuttosto per un affetto che trascendeva nella dimensione di famiglia. Era impossibile non volergli bene, anche quando si accendevano le discussioni. "L’importante è che accanto a un uomo ci sia una buona donna, è la donna che conta", ripeteva sempre così.

Forse perché era stata proprio una donna – Thea, originaria di Massa Lombarda ma conosciuta durante gli anni triestini dove lei dirigeva l’assistenza sociale del Friuli Venezia Giulia – a rivoluzionargli la vita.

Dopo la Rai, Roma, il potere, la metropoli, la confusione, una svolta. Al sapore di tannino. Nel 1966 Sergio e Thea Navacchia avevano acquistato il podere di Imola (allora solo 16 ettari, poi ne verranno altri nel forlivese, ora sono 56): l’idea era quella di fare il vino per gli amici. Nel 1974 viene dunque costituita la Tre Monti: la prima vendemmia permette di produrre 10mila bottiglie. Di lì saranno solo successi, fino a un’altra svolta: la scomparsa di mamma Thea. Un inizio, non una fine: da quel momento per Sergio, i figli Vittorio e David fare vino non sarà più solo business, ma un impegno di vita. "Sono pronti entrambi. Ciao, amore", scrisse Thea in un biglietto. Ed era ed è così: Vittorio e David Navacchia sono il volto gentile e il cuore caldo di questo pezzo di Romagna che guarda al mondo. Nel ’99 la prima annata (1997) del Thea Rosso: un percorso anche culturale che sa di futuro e che ora ha portato in azienda Francesco, il nipote ‘delfino’. Sergio Navacchia, sempre presente a ogni evento, si definiva così: "Recentemente promosso a centralinista e portiere di notte, oltre a comandare tutti ‘a bacchetta’, gestisce il ristorante aziendale, che è un ristorante molto speciale: vengono accettati solo i nostri amici, e il conto non si paga".

Era così. La campagna era nata come un hobby, poi è diventata un lavoro (con la qualità, gli enologi da tutto il mondo, gli investimenti tecnologici, l’insistenza sui mercati esteri), infine la famiglia e il messaggio sociale. Nemmeno la pandemia lo aveva fermato. Tutti i sindaci, molti assessori e consiglieri sono passati dal suo divano. Con fortune alterne: Sergio Navacchia non aveva paura di dire le cose come stavano, nemmeno ai giocatori di basket come Enzino Esposito o a piloti come Valtteri Bottas. Sapeva che la verità sarebbe stata interpretata come atto di fiducia, onestà intellettuale, stima. "Valerio, non ho mica paura di niente": mi ha sussurrato questo, quel lunedì a pranzo, l’ultima volta che l’ho visto pochi giorni fa. Mi ero abbassato per un attimo la mascherina, m’aveva fatto una carezza.