
Borse dell’acqua calda, resti di giocattoli, buste con il marchio ancora integro. Alla Casa del fiume l’iniziativa di Geolab accende i fari sul disastro in Appennino. Buganè: "Coinvolgere i volontari nella raccolta per un lavoro molto più capillare". .
Il borotalco è ancora polvere dentro al barattolo chiuso, ci sono buste della spesa, frammenti e giocattoli interi di un’altra generazione. "Come quella miniatura di Topolino, lì, con le braccia aperte, è come se dicesse: ’Guardate cosa è capitato’". Dal disastro della discarica anni Settanta franata nel rio Rovigo, a una mostra, per raccontare l’immortalità della plastica e i contorni di un vero e proprio dramma che si sta consumando in Appennino. Giacomo Buganè, con Geolab uno dei custodi del Santerno, presenta così l’iniziativa (nell’ambito di Plastic-freER) che nel weekend prenderà vita alla Casa del Fiume di Borgo Tossignano.
Si parte sabato pomeriggio, con la classica raccolta dei rifiuti lungo la riva del fiume che l’associazione di promozione sociale organizza periodicamente ogni anno. Il clou fra lunedì e domenica (con orario 11-17). Negli spazi dell’edificio borghigiano "allestiamo una mini-mostra – spiegano da Geolab – dove una trentina di oggetti riportati alla luce dalla frana sul rio Rovigo, vengono proposti accanto alla foto del luogo in cui sono stati trovati, per evidenziare il contesto fluviale in cui sono stati trascinati. Barattoli di plastica, fiori di plastica, bustine di plastica, un rivoltella giocattolo, sempre di plastica".
Le testimonianze sono tutte dello speleologo Andrea Benassi, in questi mesi, dal maltempo di marzo, uno dei paladini della causa ambientale del Rovigo. "Prima dell’ordinanza che avrebbe poi bloccato i volontari intenti a raccogliere i rifiuti – spiega Buganè –, Benassi ha meticolosamente documentato i ritrovamenti più particolari, quali contenitori con le scritte ancora perfettamente leggibili, buste della spesa quasi inalterate e altri rifiuti interrati 54 anni orsono, che oggi si presentano un po ’sciupati’ ma nella loro integrità".
Il fine dell’iniziativa è chiaramente quello di responsabilizzare sull’utilizzo della plastica. Geolab, in questi giorni, a dir la verità, ha messo in acqua speciali setacci a grana finissima per intercettare le microplasitche. Cambiamenti significativi prima del drammatico evento? "Non così evidenti – specifica Buganè –, ma comunque presenti, anche queste, ingrandite da un microscopio verranno proiettate su uno schermo e mostrate agli ospiti".
Molto si sta facendo, ancora di più servirebbe. Nei giorni scorsi sono stati rimosse dall’alveo del Rovigo diverse tonnellate di rifiuti attraverso un mezzo ’a ragno’. Ma Geolab sottolinea comunque come sia ancora necessario "l’intervento dei volontari, perché possono aseguire un lavoro capillare e meno invasivo, prima che sia troppo tardi".
Sì, perché i macchinari possono fare molto ma osservando i banchi di sabbia, li si trova intrisi di frammenti di vetro, ceramica e plastica, la cui rimozione risulta particolarmente difficoltosa se non fatta a mano (come dimostra pure un video postato dal comitato Acque Rovigo Santerno).
Lì, su quelle sponde, "si ha quasi la sensazione di cercare qualcosa: di poter trovare qualcosa di bello e raro, come se ci muovessimo tra le rovine di una antica civiltà perduta. Ci stiamo muovendo in ciò che resta di una discarica, eppure allo stesso tempo ci muoviamo in una sorta di esposizione universale che parla della nostra società e dei nostri desideri – spiegano gli organizzatori –. Tutto questo paradossalmente fa del disastro del Rio Rovigo un vero e proprio luogo antropologico, che parla di noi. Una sorta di etnomuseo, una esposizione, speriamo tempo-ranea, sulle avanguardie della modernità del 1970".