"I suoi dipendenti? Un’unica famiglia"

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"Cosa c’è per me?" Trasuda una straordinaria umiltà e un grande rispetto per i suoi dipendenti la frase con cui era solito presentarsi nella cucina stellata del San Domenico Gianluigi Morini. Il ristorante che cinquant’anni fa tirò su come un pargoletto e che ora piange la scomparsa del suo storico fondatore. "Non ci ha mai chiesto di cucinare qualcosa in particolare per lui – lo ricorda lo chef Valentino Marcattilii –, in una vita intera si sarà seduto fra i tavoli in sala forse tre volte. Non voleva farsi vedere mentre veniva servito dal personale".

Perché?

"Perché ha sempre avuto per tutti un grande rispetto. Ci ha sempre trattato alla pari, come se fossimo tutti un’unica grande famiglia: la domenica e le feste comandate si sedeva al tavolo con noi. Aveva dei valori veri, che ha trasmesso anche alla sua famiglia".

Qual è il più bel ricordo che ha di lui?

"E’ molto intimo. Quando arrivava al ristorante, entrava in cucina e appendeva la giacca a un gancio. Poi prendeva una tovaglia e se la avvolgeva attorno al collo a mo’ di mantella. Doveva essere impeccabile (come del resto era sempre) per i suoi ospiti e così riusciva a non sporcarsi".

Un uomo che ha segnato profondamente la cultura del ’mangiare’, come ci è riuscito?

"Il suo obiettivo era quello di portare a Imola la cucina della nobiltà per farla conoscere al pubblico, e ci è riuscito. Ebbe anche il merito di far conoscere a tutti, sin dai primi anni ’80 il San Domenico, quando ancora la televisione dava ben poco spazio alla ristorazione".

Fiuto per gli affari?

"Soprattutto caparbietà, come quella che gli consentì di portare in riva al Santerno lo chef Nino Bergese, ’arroccato’ in una splendida Liguria. Io avevo appena 19 anni, e passavo in cucina anche 10 ore al giorno assorbendo ogni insegnamento possibile".

Morini fu quindi fondamentale per la sua crescita.

"Proprio così, fu lui a permettermi di passare diversi mesi in alcune delle migliori cucine francesi, dove imparai tecniche e nuovi piatti. Per me è stato quasi un secondo padre, che in gran parte mi ha reso la persona – e il professionista – di oggi".

Gabriele Tassi