"La paura spinge tanti sulla mountain bike"

Cavina del Team Casale: "Girare in strada è pericoloso: io ho visto la morte in faccia più volte. Bene le zone 30, rallentare non costa nulla"

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Il tema della sicurezza dei ciclisti sulle strade non fa distinzione tra professionisti o semplici appassionati.

Ne sanno qualcosa quelle decine di realtà, come società dilettantistiche o gruppi sportivi, che portano ogni giorno tanti praticanti sulle arterie viabili. Con una certezza: l’uscita in bicicletta non può trasformarsi in una pericolosa roulette russa col destino. Tra queste c’è anche il Team Casale-Sporting Valsanterno che vanta un centinaio di tesserati tra Imola e vallata. "Un gruppo eterogeneo che abbraccia davvero tutte le età – spiega Luca Cavina, uno dei volti più noti del sodalizio –. Gli affiliati spaziano dai corridori dilettantisti ai cicloturisti. Ma anche amatori o patiti di touring bike, il turismo sulle due ruote a pedali". E l’analisi è spietata: "La strada è uno dei luoghi più pericolosi per svolgere l’attività – osserva –. Molta gente, intimorita, vira sulla mountain bike o sulla bici gravel". L’equilibrio è sempre più lontano: "Noi dobbiamo fare di tutto per farci vedere dagli automobilisti – ragiona Cavina –. Luci sui mezzi, accese anche di giorno, insieme all’uso di divise e caschetti con colori fluorescenti. Meglio girare in gruppo piuttosto che soli. Bandite asinate e spavalderie varie".

Ma l’altra faccia della medaglia è molto più ostica: "Distrazione e rancore sono i nostri peggiori nemici – sottolinea –. L’utilizzo del cellulare alla guida è ancora una piaga devastante. Per non parlare del sadico gusto di qualcuno che ci sfreccia a pochi centimetri. O, peggio ancora, ci stringe e suona il clacson all’impazzata". Civiltà al ribasso. "Ho visto in più di un’occasione la morte in faccia sulle strade – confida Cavina –. Tanta gente perde il senno al volante quando incontra i ciclisti. Eppure al cospetto di un trattore, che viaggia alla stessa velocità, sono tutti più tolleranti". Non solo. "Dico no ai ciclisti appaiati nelle strade strette, ma in quelle larghe non vedo particolari problemi – conclude –. Piste ciclabili? Quelle vere sono all’estero e c’è l’obbligo di usarle. Le nostre sono ciclopedonali da condividere coi pedoni. Convivenza ibrida insidiosa per chi si allena in bicicletta a buone andature. Bene, invece, le zone 30 nelle città. Rallentare, in fondo, non costa nulla".

Mattia Grandi