Manzoni e la lingua italiana

Manzoni  e la lingua  italiana

Manzoni e la lingua italiana

Quest’anno ricorrono i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, 100 dalla nascita di Italo Calvino e 160 anni dalla nascita di D’Annunzio. Mi chiedo se siano le donne a tenere dietro a queste ricorrenze perché la maggior parte di noi uomini, si dimentica anche delle date di compleanno, degli anniversari, creando a volte anche incidenti diplomatici.

Andando per diritto di anzianità darò spazio per primo al Manzoni. Mi è sempre stato simpatico anche quando lo studiavo a scuola l’Alessandro. Attraverso le vicende di Renzo e Lucia è riuscito a raccontare la società e gli accadimenti di quei tempi meglio di un inviato speciale. Nel romanzo Renzo e Lucia subiscono mille traversie e fanno innumerevoli sforzi per arrivare al matrimonio; se fosse ambientato ai tempi odierni probabilmente gli stessi sforzi li farebbero per non sposarsi. Alessandro Manzoni nella vita di tutti i giorni parlava dialetto milanese, mentre nell’opera letteraria sceglie il fiorentino parlato dalle classi colte, secondo lui lingua viva. Dante ha elevato il fiorentino a lingua letteraria, Manzoni ha “lavato i panni in Arno”, usando il fiorentino colto per narrare i Promessi Sposi. Quindi in qualche modo la qualità della nostra lingua italiana la dobbiamo anche al Manzoni. Tante le sue frasi che ne testimoniano la grande umanità: “Si dovrebbe più pensare a fare bene che a stare bene e così si finirebbe anche per stare meglio”, “Non sempre ciò che viene dopo è progresso” o ancora “Del senno di poi ne son piene le fosse”. In certi momenti risulta anche molto ironico, come se giocasse coi personaggi come fa il gatto con il topo.

Avesse potuto assistere al libero adattamento dei Promessi Sposi messo in scena dal trio Lopez, Solenghi e Marchesini, sicuramente avrebbe riso di gusto anche lui.

Davide Dalfiume