Imola, neonata morta. Tre medici a processo

Parto cesareo d’urgenza e poi la piccola cessò di vivere per ipossia acuta

Intervento chirurgico

Intervento chirurgico

Imola, 12 gennaio 2019 - Tre medici alla sbarra per la morte della piccola Clarissa, soffocata dal cordone ombelicale e vissuta appena 45 minuti dopo essere venuta alla luce con il cesareo d’urgenza. Tre ginecologi dell’ospedale chiamati a rispondere di omicidio colposo per non aver disposto un tracciato in continuo sulla madre che, alla sua prima gravidanza, fu operata d’urgenza diverse ore dopo il suo ingresso al Santa Maria della Scaletta. Ieri mattina, davanti al giudice Nadia Buttelli, si è tenuta la prima udienza di un processo che, in prima battuta, sembrava non dovesse nemmeno mai partire. Per il decesso della piccola infatti, avvenuto il 15 luglio luglio 2014, la procura aveva chiesto inizialmente l’archiviazione dei sette indagati; poi una seconda perizia medico-legale, disposta in sede di opposizione all’archiviazione su richiesta dei genitori, ha convinto il pm Augusto Borghini a stralciare la posizione delle ostetriche e a iscrivere un altro medico. Fino ad arrivare, poi, alla richiesta di rinvio a giudizio per tre ginecologi, assistiti dagli avvocati Pietro Giampaolo, Paolo Calderoni e Lara Neri. La prossima udienza è fissata al 20 maggio, ma nel processo non ci saranno i genitori della bimba, che hanno scelto di non costituirsi parte civile e sono in attesa di risarcimento dall’Ausl, assistiti dall’avvocato Filippo Grillo.

 

Il dramma che ha sconvolto la famiglia della bimba – una coppia albanese all’epoca di 24 anni lei e 37 lui – iniziò alle 8 del mattino di quel 15 luglio, quando la donna alla prima gravidanza, arrivata alla 41esima settimana e due giorni, entrò in ospedale per un controllo. All’1,29, però, fu sottoposta a un cesareo d’urgenza durato meno di mezzora, quando secondo l’accusa la piccola era ormai in sofferenza fetale. La causa della morte – asfissia come conseguenza a un evento traumatico – è da ricondursi al cordone intorno al collo, ma se per il primo consulente della procura i sanitari non avrebbero omesso nulla nei vari monitoraggi, secondo un altro consulente la donna doveva essere sottoposta a un tracciato continuo già dal pomeriggio, come previsto dai protocolli regionali sulle fasi di travaglio. Un travaglio che, secondo le difese dei medici, non era però iniziato e che quindi non necessitava di un monitoraggio costante.