Prostituzione a domicilio, cinque in manette

La banda di sfruttatori si era ’specializzata’ in incontri a casa dei clienti per evitare il crollo degli affari durante i mesi del lockdown

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di Nicoletta Tempera

Durante il lockdown, per evitare il crollo degli affari, le ragazze di Abdulj Zorjani avevano iniziato a prostituirsi a domicilio. E proprio da uno di questi incontri, avvenuto ad aprile 2020 in una Medicina appena uscita dalla zona rossa, è partita l’indagine dei carabinieri della compagnia di Imola e della tenenza di Medicina che si è concretizzata, ieri, nell’arresto di cinque persone, per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione: il quarantaquattrenne serbo Zorjani, già condannato a dieci anni complessivi per lo stesso reato nel 2010 e 2013, finito in carcere a Ferrara; e poi i suoi figli F. B., di 28 anni, e A. B., di 26, la fidanzata polacca di uno di loro P. S. (tutti incensurati), e il settantaduenne cesenate G. M., anche lui con vecchi precedenti, ai domiciliari.

L’operazione, coordinata dal pm Domenico Ambrosino, che ha permesso di cristallizzare l’attività della banda, con ruoli e compiti ben definiti, è nata dalla richiesta di aiuto di un cliente delle ragazze. L’uomo, un romeno, aveva concordato una prestazione con due ragazze, per 150 euro. Quando però le due (tra cui l’attuale arrestata) si erano presentate a casa sua a Medicina, l’uomo aveva detto di avere solo 90 euro. Il menage a trois erano andato in fumo. E le due, a quel punto, avevano chiamato il loro ‘protettore’ Zorjani che senza perdere tempo aveva intimato al cliente di pagare i 90 euro per la trasferta delle due ragazze, arrivate da Portomaggiore: "Se non paghi ti taglio la testa e ti faccio a pezzi", gli aveva detto. Lui aveva chiesto aiuto ai carabinieri e i militari erano riusciti a fermare, con la scusa di controlli Covid, le due meretrici, riuscendo così ad ottenere le prime informazioni che hanno fatto da ‘base’ allo sviluppo dell’indagine.

Dalle due giovani, i carabinieri, attraverso intercettazioni e attività tradizionali, sono arrivati a ricostruire quello che il gip Andrea Salvatore Romito ha definito un "illecito affarismo" teso a trarre profitto dal lavoro delle ragazze, che si prostituivano tra Bologna, Ferrara e Imola e che d’estate si spostavano tra Cervia e Cesenatico. E, nel periodo del lockdown, per evitare problemi ai clienti, andavano anche a domicilio a casa loro. Ognuno nel gruppo, che aveva al vertice Zorjani, aveva un ruolo: lui, con i figli, secondo l’accusa si sarebbe occupato del prelievo dei soldi e della pubblicazione sui siti di settore degli annunci; P. S. avrebbe scelto i luoghi dove far prostituire le ragazze; e G. M. si sarebbe occupato della gestione, nel periodo estivo, delle esigenze delle prostitute. Quattro romene erano fisse; a loro si aggiungevano ragazze che periodicamente si prostituivano per la banda. Ognuna, al mese, riusciva a tirare su anche 10mila euro. Ieri, l’esecuzione delle misure tra Ferrara, Budrio e Cesena. "La ricostruzione dei fatti del pm e del gip è ragionevole – dice l’avvocato Bruno Salernitano, che difende padre, figli e fidanzata –, ma sulla pericolosità ho dei dubbi. Potevano applicarsi i domiciliari al principale indagato, mentre gli altri miei assistiti sono incensurati, la loro posizione è più leggera. Valuteremo i riti opportuni".