"Quell’umiltà lo ha reso grande"

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"Per me è stato come avere un altro nonno, un uomo che mi ha accompagnato come un confidente, un amico fraterno per praticamente tutta la vita". Va ben oltre quella di un semplice datore di lavoro l’immagine di Gianluigi Morini nell’album dei ricordi dello chef Max Mascia. Lui, che appena 14enne, in quel 1997 muoveva i primi passi in un San Domenico visto fino a quel momento solo da ’spettatore’.

Ricordando Morini qual è la prima immagine che le viene in mente?

"Me lo ricordo nel suo ufficio, ancora prima che venissero fatti i lavori. Una stanza grande, per me un po’ buia e misteriosa. Sempre vestito in modo impeccabile, curato oltre i minimi dettagli una filosofia che era tale e quale anche sul lavoro e che io cerco di riportare nei miei piatti".

Molto più che una traccia di lui nel menù del ’Sando’.

"Come anche nella vita di tutti noi, che con lui abbiamo lavorato. Mi ha trattato come un nipote, facendomi innamorare perdutamente di questo lavoro. La mia passione in gran parte la devo a lui".

Cosa le mancherà di più?

"Quando ancora il venerdì e il sabato sera si tratteneva in ufficio per fare i conti, nonostante il servizio fosse finito e io avessi finalmente la notte davanti a me, mi piaceva andargli a parlare. Mi faceva leggere degli articoli di giornale, discutevamo di cucina innovativa , ma non smetteva mai di ricordarmi quanto fosse importante la tradizione. Poi c’era la sua umiltà, quello che lo ha reso, soprattutto un grande uomo, di portata ancora maggiore rispetto a quella del Morini imprenditore".

g. t.