REDAZIONE IMOLA

Rio Rovigo, in mostra lo specchio di un’epoca: "Rifiuti congelati come le statue di Pompei"

L’evento alla Casa del Fiume, parla l’antropologo Benassi: "Nelle acque le radici del consumismo italiano, scarti da rimuovere delicatamente"

L’antropologo Andrea Benassi illustra i reperti raccolti dal letto del Rio Rovigo subito dopo la frana della discarica I rifiuti di Palazzuolo sul Senio sono diventati protagonisti di una mostra organizzata alla Casa del Fiume con Geolab

L’antropologo Andrea Benassi illustra i reperti raccolti dal letto del Rio Rovigo subito dopo la frana della discarica I rifiuti di Palazzuolo sul Senio sono diventati protagonisti di una mostra organizzata alla Casa del Fiume con Geolab

Calze in nylon ancora intatte, appena comprate, senza nemmeno un filo che pende. E poi un contenitore di bagnoschiuma, con all’interno tanto prodotto inutilizzato. Oggetti nuovi, "congelati come le statue a Pompei", che riflettono "le radici del consumismo". Su tutto ciò ruota la mostra "Rio Rovigo senza parole", andata in scena alla Casa del Fiume di Borgo Tossignano. Parte dell’iniziativa di "Plastic-freER", organizzata da Geolab con Giacomo Buganè e l’antropologo Andrea Benassi, la mostra nasce con lo scopo di ridare una seconda vita ai rifiuti rinvenuti nel Rio Rovigo, dopo il rovesciamento della discarica.

Benassi, come nasce l’idea di questa mostra? "Prima che interrompessero l’accesso ai volontari. Dalla discarica, ho rinvenuto tanti oggetti che costruivano un ’paesaggio del contemporaneo’ e ho trovato da subito interessante farne una documentazione. L’idea della mostra è nata poi con Buganè, che sfruttando l’occasione della giornata contro i rifiuti in plastica del 5 giugno, aveva pensato a una iniziativa sulle microplastiche. La forte presenza di plastica di questo disastro ci ha portato a ritenere interessante mostrare quali fosse lo stato degli oggetti dopo 50 anni e passa sotto terra. Dal punto di vista antropologico, per me è stato anche un modo per ragionare su cosa possano dire della società degli anni Settanta e cosa stia cambiando anche per i consumi, cosa ci dicono del passato e del presente".

Che cosa ha rappresentato la mostra? "Uno sguardo sulle radici sull’inizio del consumismo italiano. Gli oggetti trovati sono rimasti congelati, nuovi. Ci sono delle calze di nyoln, che per l’epoca era appena inventato. Erano oggetti nuovissimi e prodotti in quantità enormi. Li ritroviamo nuovi, senza nemmeno un filo che pende. E poi medicinali, bagnoschiuma ancora ricchi di prodotto, statuette e tanto altro ancora".

Sembrano rappresentare una società pronta a buttare tutto via subito... "Diciamo che l’Italia negli anni Settanta è stata travolta da un cambiamento grosso, un boom economico che ha fatto sì che, poter buttare via, rappresentava un valore. L’abbondanza era un segno distintivo. Si vede un passaggio tra la società del riuso e quella dove consumare in maniera ossessiva è fondamentale. Alla base di tutto, c’è comunque stata una ’scusa narrativa’ per dare una seconda vita a questi rifiuti tornati tra noi".

C’è qualcosa, di quello che ha trovato, che le è rimasto impresso? "La sensazione è quella di girare un mercatino dell’usato. Ci sono delle pile usa e getta che ad oggi non sono più prodotte che so che la gente cerca per collezione. Ci sono frammenti di vetri, ceramica, mischiati a tutto l’ambiente naturale, depositi di fondo, ghiaie. Una parte verrà rimossa, una parte sarà segmentata. Tutti questi microoggetti sono mischiati alla sabbia".

Com’è lo stato del fiume ora? Si può tornare come prima? "Ci troviamo in una situazione complicata. Pur non essendoci pericolo di percolato della discarica, piccole quantità di detersivi, medicinali scaduti si sono mischiati al fiume. Forse non influisce sulle acque. Il problema è più di tipo di paesaggistico, le microplastiche e macroplastiche sono ovunque e rientreranno nei cicli del fiume. Gli animali purtroppo ne mangeranno. Bisogna sperare di rimuovere questi rifiuti, ma non in maniera brutale, per non danneggiare il paesaggio".