San Domenico Imola, la vita di Valentino Marcattilii diventa un libro

Lo chef racconta la storia della sua avventura: "Diventare cuoco? Non era il mio sogno. Il caso ha deciso per me"

Lo chef con Naomi Campbell nel ristorante di Imola

Lo chef con Naomi Campbell nel ristorante di Imola

Imola, 2 dicembre 2019 - "Non ci pensavo nemmeno a diventare un cuoco, per di più famoso. Non era il mio sogno, non sentivo il fuoco dentro. Il caso mi ha fatto imboccare una strada che non sapevo bene dove portasse. Lo ricordo bene quel martedì d’estate, quando a 18 anni misi piede per la prima volta al San Domenico, anche se la data esatta l’ho ritrovata solo grazie al mio vecchio libretto di lavoro: 18 luglio 1972. Mi presento. Mi chiamo Valentino Marcattilii. Con due i finali. Sono nato a Mosciano Sant’Angelo, provincia di Teramo, un paese di collina che nessuno conosce, a dieci chilometri dal mare".

È l’inizio del libro che racconta la vita di Valentino Marcattilii, nome importante per la storia della cucina italiana. Con un salto nel tempo arriviamo al 1972: siamo a Imola. "In quel nuovo ristorantino (...) era stato assunto come cameriere mio fratello Natale che aveva fatto qualche mese di scuola alberghiera a Perugia. L’idea di lavorare con lui mi piaceva proprio, così quel martedì di afa e di nuvole entrai con Natale all’indirizzo che non avrei mai più dimenticato: via Sacchi 1. Un’occhiata alla sala, una stretta di mano al cuoco Romano Visani. Mi diedero subito una divisa che non era proprio come quelle di oggi, quei capolavori di cotone impalpabile che hanno lo stile e il prezzo di un abito di Armani. Ero pronto a scalare le vette della grande cucina. Cominciai per gradi, con qualche chilo di patate e cipolle da sbucciare. All’ora di pranzo spuntò in cucina un signore elegantissimo, giacca e cravatta, completo grigio. Distribuiva sorrisi e salutava tutti, me compreso. Era Gianluigi Morini. Di lui sapevo poco o niente. Non l’avevo mai visto prima. Non potevo immaginare che razza di storia stesse nascendo grazie a quel bancario sognatore, innamorato del cinema e della buona cucina internazionale. Il ristorante nacque in tre salette sparse su tre piani, con undici tavoli, in uno stabile storicamente di proprietà della famiglia Morini. Scelte raffinate fin da subito". Il ristorante ormai si è affermato.

"Con gli anni capimmo che il San Domenico è sempre stato una magnifica sfida da pazzi in una città di pazzi che ho sempre amato. A Imola c’erano più ospedali psichiatrici che teatri. Qui si stava bene e si sta ancora bene. Oggi mio nipote Massimiliano Mascia guida con bravura e passione la cucina del nostro ristorante che sta per compiere 50 anni. (...) Sarebbe eccessivo dire che per me Morini è un secondo padre. È il Fondatore. Nelle scelte importanti ha coinvolto me e mio fratello Natale. Lo ha sempre fatto, ancora prima che diventassimo suoi soci. È la nostra storia. Senza di lui non sarebbe mai esistito il San Domenico. E non avrei mai conosciuto Nino Bergese, un faro della cucina italiana del Novecento ma, soprattutto, il maestro più importante della mia vita. E non parlo solo di cucina".