L’isola di Rumiz, dove abita il Ciclope

Lo scrittore e giornalista questa sera presenta il suo ultimo libro in biblioteca

Il giornalista Paolo Rumiz

Il giornalista Paolo Rumiz

Imola, 17 febbraio 2016 - Si chiama ‘il Ciclope’ l’ultimo libro di Paolo Rumiz (edito da Feltrinelli), giornalista e scrittore triestino – e instancabile viaggiatore – questa sera in biblioteca alle 20.30 con l’associazione Focus D e l’Università aperta (conducono Anna Folli e Gabriella Barbieri). Se il titolo rimanda a un universo letterario, in realtà l’esperienza del giornalista è calata nel presente, nel cuore inquieto del Mediterraneo. Rumiz ha vissuto per tre settimane in un faro, in una minuscola isola volutamente resa irriconoscibile. Sullo sfondo, la natura, gli animali e tanti altri viaggi, ricordati nel libro, sollecitati da questa esperienza solitaria.  Rumiz, grande protogonista del libro è il Mar Mediterraneo, che sembra il filo conduttore del nostro mondo. E invece è ancora teatro di conflitti. «Beh, nel Mediterraneo ci sono sempre stati conflitti, la differenza con quelli di oggi è che un tempo si conoscevano ‘i dirimpettai’. Quando Venezia si è lanciata nella Battaglia di Lepanto aveva rapporti con i sultani. Oggi abbiamo una visione molto più banalizzata, allora era più internazionale». E dire che dovrebbe essere il contrario. Lei 20 anni fa ha raccontato la guerra nei Balcani: cosa è cambiato nel Mediterraneo di oggi? «La storia si ripete, ma noi perdiamo la visione storica e la conoscenza geografica di mari e valli. E così perdiamo la capicità di capire gli eventi. Il mare Adriatico, in effetti, è particolare: il mondo slavo è vicinissimo e questo ha sempre unito la conoscenza ai contrasti». Ci parli della vita sull’isola, dove le uniche reti erano quelle dei pescatori. «Avevo bisogno di riposo, ma avevo paura della depressione. Invece non ho mai sofferto di claustrofobia e mi si è spalancata una visione del mondo straordinaria. Io stavo fermo, ma tutto mi passava davanti. La cosa che mi è piaciuta di più, però, è stata il ristabilirsi di un naturale timore della natura: siamo abituati a vivere in un mondo artefatto. Mi sono sentito un atomo senza importanza, eppure con ogni nostro gesto abbiamo responsabilità». Oggi viaggiare è diventato low cost e facilissimo. Che ne pensa un ‘viandante’ come lei? «Cambiare abitudini fa bene, così come il confronto con il diverso. E’ l’unico modo per capire se le idee che hai sono giuste o sbagliate». E di Imola che ci dice? «Diciotto anni fa venni durante un mio viaggio nella Pianura Padana: stavo lavorando sugli effetti della Lega e sulla metamorfosi in senso capitalistico delle cooperative. Sono tornato anche più di recente per i duemila anni della via Emilia: una strada di cui si sono persi i segni del passato. Fuori dai centi urbani ti arrotano i tir, mentre le città sono diventate luoghi da aperitivo. Di Imola mi ricordo che si arrabbiarono perché sbagliai di qualche chilometro il confine fra Emilia e Romagna».