Imola, l’annuncio del sindaco Manca. “Non mi dimetto”

Il primo cittadino: “Resto, la mia candidatura sarà più forte. La scadenza dei 180 giorni? Irrilevante. Ho fatto le mie verifiche”

Il sindaco Daniele Manca

Il sindaco Daniele Manca

Imola, 5 settembre 2017 - A settembre, si sa, i tormentoni estivi stufano. Così, nella settimana in cui a Imola comincia la Festa nazionale del Pd, il sindaco Daniele Manca elimina dalla playlist cittadina il motivetto che ormai da alcuni mesi lo vede protagonista. «Non mi dimetto», scandisce il primo cittadino – aspirante deputato – da dietro la propria scrivania, nell’ufficio affacciato su piazza Matteotti. Eppure, normativa alla mano, dovrebbe: se il Governo arriva a scadenza naturale, chi vuol correre per il Parlamento deve infatti lasciare il proprio incarico amministrativo 180 giorni prima della fine della legislatura. «Ma quella causa di ineleggibilità è sempre stata bypassata negli ultimi 20 anni – sottolinea Manca – e mai considerata rilevante. Ci sono stati anche sindaci ancora in carica al momento dell’elezione in Parlamento. Per quanto mi riguarda, un punto è irrinunciabile: prima di tutto vengono le istituzioni. Il mio percorso si è sempre ispirato a fare ciò che serve alla comunità politica. Ho fatto verifiche sufficientemente approfondite, non prendo decisioni cautelative».

Sindaco Manca, qualcuno adesso dirà che lei non rispetta la legge e vuole fare la campagna elettorale da primo cittadino.

«Il problema si porrà quando ci sarà lo scioglimento delle Camere, non ora. Adesso il Pd è impegnato nel sostegno dell’azione del Governo. Ci sono da fare la Legge di Stabilità, a livello nazionale, e il Bilancio di previsione a Imola. Ho il diritto di concludere al meglio questo mandato. Solo con lo scioglimento delle Camere si potrà ragionare di dimissioni. Questo non vuol dire rinunciare alla candidatura, anzi significa renderla eventualmente più forte qualora la comunità politica me la chiedesse. Ma non voglio espormi a giudizi del tipo: ‘Mette davanti la carriera’».

Il Governo però potrebbe cadere subito dopo l’approvazione della Legge di Stabilità. Non è che ha avuto rassicurazioni in tal senso?

«La decisione è nelle mani del Parlamento. Per quanto mi riguarda, penso che sarebbe molto importante votare prima per le elezioni politiche, poi per le amministrative. Come nel 2013. Ma questa è una mia opinione, vedremo quello che succederà».

La rinuncia alle dimissioni è anche un modo per evitare che a Imola l’opposizione faccia sei mesi di campagna elettorale dicendo: ‘Ha abbandonato la città al suo destino per sei mesi’?

«Questo non glielo lasciamo fare perché non abbiamo bisogno di nessuna paternale. Noi mettiamo davanti l’interesse delle istituzioni».

Quanto ha pesato invece, nella sua decisione, il pressing di una parte del Pd?

«Zero. Ho sempre detto che avrei fatto le verifiche del caso. E che comunque mai ci sarebbe stata una decisione individuale, rischiando di esporre la comunità politica che mi rappresenta. Anzi, ho trovato ingeneroso nei miei confronti perfino si potesse pensare che avrei preso una decisione simile. Il mio percorso è pulito e ricco, come sanno tutti, di tante rinunce individuali per mantenere fede a un impegno comunitario. Mi sono ricandidato sindaco, nel 2013, nonostante ci fossero le elezioni politiche. E l’anno dopo ho rinunciato alle primarie per la Regione. Il problema vero è capire cosa serve al Pd di Imola per mantenere il proprio parlamentare. Se c’è da fare la battaglia elettorale, io sono pronto».

Cambiamo tema. Come va la ricerca del candidato per le amministrative?

«Si voterà tra la fine di aprile e la metà di giugno: ergo, dobbiamo affrontare in maniera strutturale e professionale la chiusura del mandato. Capire cosa pensa la gente del centrosinistra che ha governato in questi anni; il profilo del candidato sindaco salta fuori da questa valutazione politica. La soluzione è non una conta interna al partito».

Dunque, si guarda fuori?

«Via l’idea che il Pd non abbia soluzioni. I profili giusti ci sono, in giunta come in maggioranza. Su uno si fa l’accordo, e si va. Ma qualora i problemi siano diversi, e dovesse servire un cambio radicale, allora bisogna studiare un’altra soluzione».

E come si capisce cosa fare? Con un sondaggio?

«Si fa un’analisi concreta, si usano gli istituti demoscopici. Si fanno le cose non da improvvisati».

In che tempi?

«Entro la fine dell’anno».

E’ d’accordo con la proposta del segretario territoriale del Pd, Marco Raccagna, di vendere la sede della Federazione in viale Zappi?

«Credo che lui abbia fatto un lavoro importante, e penso che dovremmo essere un po’ più generosi nei suoi confronti. Perché un conto è fare il segretario di partito quando si può fare del debito e mantenere funzionari, un altro è farlo quando si deve rivedere l’utilizzo del patrimonio. Ci ha fatto una proposta, e io sono per discuterla. Senza conflittualità».

Sente che Raccagna non è amato dal partito?

«C’è sempre qualcuno che giudica gli spigoli, ma io non trovo grandi sconfitte del Pd di Imola durante il suo mandato. E la sua disponibilità nel far quadrare i conti, oltre che nel restare segretario rinviando il congresso locale a dopo le elezioni, è da leggere in maniera positiva. Avremo una campagna elettorale molto dispendiosa: per questo ci servirà anche la Festa nazionale, un appuntamento comunque importantissimo per la nostra città».

Di bilanci di fine mandato ci sarà tempo per farne. Nel frattempo, le pesa non essere ricordato come il sindaco che ha riportato la Formula 1 a Imola?

«Mi accontenterò della Superbike e dei grandi concerti. Sembrava che la musica qui non avesse più cittadinanza, ho rimesso al centro la piattaforma dell’Autodromo. Oggi incontro a testa alta i più grandi promoter di eventi; e ci sono grandi prospettive. Per far sì che la F1 sia un obiettivo da perseguire, anche per chi viene dopo di me, serve un impianto che funzioni come accade oggi».

Cosa si sente di dire a chi aspira a diventare il prossimo sindaco di Imola?

«Che ci vuole tanta passione. Servono determinazione, pazienza, voglia di unire e di ascoltare. Caratteristiche presenti in tanti, all’interno nel Pd; persone che possono contare anche su centinaia di preferenze. Ma oggi bisogna misurarsi innanzitutto con se stessi, oltre che con la città».