Sanremo 2019, con Ghemon sul palco i Calibro 35

Accompagnano stasera il cantante nella puntata dei duetti. "Abbiamo vivacizzato il brano con un arrangiamento verso il rap e l'hip hop"

I Calibro 35

I Calibro 35

Imola, 8 febbraio 2019 - Per una band che ha fatto della libertà la sua bandiera e non si è mai data obiettivi e traguardi precostituiti, anche salire sul treno che la porta stasera sul palco di Sanremo è frutto di una fortunata combinazione, orchestrata da Tommaso Colliva, «il nostro produttore, la mente, l’eminenza grigia che dietro le quinte giostra la nostra carriera».

Luca Cavina, bassista dei Calibro 35, ieri all’ora di pranzo era su una banchina della stazione di Imola, in attesa di quel convoglio che l’avrebbe condotto in serata a respirare l’inebriante aria dell’Ariston, del suo red carpet, delle luci della ribalta più luminosa d’Italia. Accompagnerà, insieme ai sodali Enrico Gabrielli, Massimo Martellotta, Fabio Rondanini, l’esibizione di Ghemon, nell’odierna serata dei duetti, insieme a Diodato.

Come si passa dalle colonne sonore dei polizieschi anni Settanta al rap di Ghemon? «Leggendo un messaggio. Tommaso mi ha scritto: ‘Ti va di andare a Sanremo?’ ed eccoci qua».

La fa troppo semplice, mi pare... «Tommaso è stato produttore anche dell’album ‘ORCHIdee’ che Ghemon ha pubblicato nel 2014, per cui si conoscevano già. Personalmente invece l’ho incontrato alcune settimane fa a Milano quando abbiamo fatto il provino per il festival».

Quale impronta lasceranno i Calibro 35 su ‘Rose viola’? «Nonostante Ghemon sia un rapper, il brano di Sanremo è tutto melodico, così noi l’abbiamo vivacizzato con un arrangiamento più movimentato, virato verso il rap e l’hip hop. All’inizio c’è una progressione armonica alla James Bond, che richiama il nostro sapore anni Sessanta e Settanta».

Diodato in questo connubio come si inserisce? «L’anno scorso era lui in gara e Ghemon lo accompagnò in duetto. Diciamo che si sono scambiati di ruolo, rinnovando l’antico feeling».

Il debutto al festival fa tremare gambe e polsi? «In verità non saprei, finora sono andato solo una volta, per delle prove tecniche, sul palco insieme all’orchestra. Salirci davanti al pubblico non so davvero cosa possa significare. Stamattina proveremo, poi ci sarà l’esibizione televisiva».

Enrico può essere un buon apripista? «Beh, lui ci è già stato con gli Afterhours anni fa e quest’anno dirige anche l’orchestra per Daniele Silvestri oltre che far parte della superband del dopo Festival insieme a Beatrice Antolini e a Roberto Dell’Era».

Questa incursione nell’universo rap condizionerà anche il prosieguo del vostro percorso? «Per la verità noi procediamo senza piani prestabiliti, nasciamo proprio come progetto aperto tra brani cantati, colonne sonore, sound contemporaneo, jazz e rock. Non ci precludiamo mai niente. Questa collaborazione non è nata perché aspiriamo a dare una svolta rap al nostro futuro, ma solo per la voglia di fare un’esperienza nuova. Poi si vedrà».

L’anno scorso avete festeggiato i primi dieci anni di vita con ‘Decade’. Adesso inizia il vostro secondo decennio. Con quali progetti? «Ogni tanto riusciamo a incastrare i nostri impegni con una sessione milanese nella quale infiliamo molti materiali. Questo deposito può essere utilizzato per un disco o per una colonna sonora. Lo organizziamo in un secondo momento a seconda delle esigenze. ‘Decade’ è nato come concept album. Ognuno ha scritto dei brani ad hoc e in cinque giorni è stato registrato».