Le aziende in trasferta non curano le risorse umane

Sono un lucano stabilitosi in Emilia da una decina d'anni. Prima di ciò, per circa quattro anni venivo in trasferta in questa regione o in Toscana con un'impresa edilizia che vinceva vari appalti fuori regione. Devo dire che quest'ultima ha avuto lungimiranza nel trovarci alloggi per il tempo in cui dovevamo stare lì. La stabilità della mia vita l'ho trovata in questa regione, a cui sarò eternamente riconoscente, però vorrei fare qualche riflessione. Sto notando sempre più che le aziende – emiliane e non – stanno facendo venir meno la succitata lungimiranza. Perché ritengono un fardello far spostare una persona da una regione all'altra, per quanto adatta alle loro esigenze. E allora si cerca dietro l'angolo, spesso tra non italiani. Dai media della corrente dominante si sente dire che le imprese non riescono ad aumentare la loro capacità produttiva perché non trovano le risorse umane. Questo entra in collisione con la loro mancanza di volontà nel trovare iniziali soluzioni abitative a chi si sposterebbe di centinaia di chilometri per rispondere alla loro chiamata. Non si rende nessun servizio alla patria con certe scelte e non si aiutano neppure i Paesi dai quali migliaia di assunti provengono, perché non li si mette in grado di aiutare i loro connazionali. Non aiutiamo noi stessi, ma neanche gli altri. È un dato di fatto. Un imprenditore che stimo, Adriano Olivetti, disse: "L'Italia procede ancora nel compromesso, nei vecchi sistemi del trasformismo politico, del potere burocratico, delle grandi promesse e delle modeste realizzazioni". La disparità sociale che scaturisce dalla summenzionata miopia ci ha reso dei modesti creatori di PIL e mediocri realizzatori di intraprese, facilmente superabili da chi così miope non è.

Oreste Palumbo