Qualche giorno fa la corte d’appello di Torino, dopo un rinvio dalla Cassazione, ha di nuovo assolto il venticinquenne che aveva ucciso il padre per difendere, si dice, la madre. In queste ore un padre uccide il figlio che minacciava, si dice, i genitori. L’11 gennaio 2 ragazzi uccidono il padre in Calabria e ne occultano il cadavere anche in questo caso, si dice, a tutela della mamma.
Nessuno di noi e, forse, nemmeno i magistrati, sapranno mai quali drammi familiari si nascondessero dietro queste tragedie: quali fatti, quali atteggiamenti, quali parole le abbiano innescate. Un dato è certo: la morte è sempre l’ultimo rimedio, ammesso che sia un rimedio.
E un dubbio: ci si scandalizza per i trenta anni invece dell’ergastolo (pena equivalente vista l’età), dati a un modenese che ha ucciso figlia e moglie mentre non si apre nessuna discussione sulla morte data ad un genitore. Si discute sulla legittima difesa, anche da parte dei tutori dell’ordine, e non si sente nessuna sillaba su quella praticata fra parenti. Un omicidio è sempre un omicidio e ci vorrebbero fior di prove ed attenuanti eventuali per non sanzionarlo. Non voglio esprimere giudizi, ma solo invitare a riflettere in modo non superficiale e schierato sul tema.
Enrico Venturoli