{{IMG_SX}}Corridonia (Macerata), 1 aprile 2008 - Lo sapevate che la Muta di Raffaello, Maria della Rovere Varano, era triste per la morte del marito Venanzio Varano, signore di Camerino, e forse ancor di più per la morte del suo amante Giovanni Andrea Bravo da Verona?

 

Lo si evince dall’abito verde smeraldo che, all’epoca, veniva indossato in segno di lutto. E sì perché la cultura passa anche attraverso la conoscenza di piccole cose, degli usi e costumi degli uomini e della loro trasformazione nel tempo.

 

Leggere la storia attraverso gli abiti, che con le loro fogge, tessuti, ricami e colori svelano usanze e abitudini, costumi e malcostumi, significa compiere uno studio antropologico sofisticato. E’ con questo spirito che la signora Elvia Mengoni, titolare della sartoria teatrale ‘Arianna’ di Corridonia, ha collezionato negli anni un guardaroba mozzafiato.

 

Vestiti dal ‘700 agli anni della Belle Epoque, ma anche deliziosi cappellini, mantelline e bustier. Un patrimonio degno della collezione di abiti antichi del museo di Arti decorative a Parigi, esposta recentemente grazie alla sensibilità dello stilista francese Christian Lacroix, o del museo del Costume di Palazzo Pitti a Firenze.

 

Un bene indispensabile per studiare dal vero i tagli dei vestiti di una volta per poi riprodurli in maniera impeccabile, ma anche un importante repertorio per capire la storia e lasciarsi incantare da abiti che conservano ancora l’anima di chi gli ha indossati. Un patrimonio, che la signora Elvia immagina di poter esporre in un vero e proprio museo concepito intorno all’abito.

 

"Da ragazza immaginavo di cucire i vestiti per le opere dello Sferisterio — confida la signora Mengoni, che tra i tanti lavori ha anche eseguito i costumi per l’ultima Norma —. Ora il mio più grande desiderio è quello di creare un museo del Costume. Mi piacerebbe dare il mio contributo per rendere la mia regione ancora più attrattiva".

 

L’idea sarebbe quella di creare uno spazio espositivo dedicato alla moda e alle mode, insomma, che potrebbe diventare il fulcro anche per mostre d’arte collaterali e per esposizioni tematiche. E infatti, è interessante vedere gli abiti in un allestimento cronologico, ma ancor di più seguendo un filo rosso che unisca periodi distanti in modo trasversale: l’uso del pizzo, il bianco, la seta, l’eleganza.

 

Un sogno per tutta la regione, che potrebbe essere conosciuta non solo per le terre leopardiane o per il distretto calzaturiero, ma anche per una vocazione alla cultura antropologica. La collezione c’è. Ora basterebbe il contributo di qualche amministratore illuminato che metta a disposizione uno spazio per un museo che darebbe lustro alla nostra regione, attenta alla cultura e anche al made in Marche