Agroalimentare: aziende a forte rischio di chiusura

Maccari di Confindustria: "Il momento più buio del settore dal dopoguerra ad oggi. Non possiamo aspettare il nuovo governo, servono interventi immediati"

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di Franco Veroli

"Purtroppo c’è un settore che prima degli altri è entrato in una spirale prima negativa e ora recessiva, ed è quello agroalimentare. Già da un anno siamo in difficoltà e molte aziende rischiano la chiusura". Federico Maccari, vicepresidente di Confindustria Macerata e presidente della sezione Agroalimentare, lancia un grido d’allarme. "Non possiamo aspettare l’insediamento di un nuovo governo. Se i costi dell’energia proseguono su questi valori e trend, se non c’è un intervento diretto delle istituzioni nazionali o europee per una sostanziosa riduzione dei costi, il rischio è quello di compromettere uno dei settori più importanti e strategici per il nostro Paese". "Il momento più buio del settore dal dopoguerra ad oggi", è iniziato un anno fa con l’impennata del prezzo del grano duro raccolto nel 2021, a causa di una sottoproduzione determinata da fattori climatici sfavorevoli in Canada e Stati Uniti, che hanno pesantemente influenzato anche la quotazione del grano duro prodotto in Italia. "La crisi si è aggravata – prosegue Maccari - con l’aumento del prezzo dei carburanti, che ha fatto impennare i costi di produzione degli imballaggi, della logistica e del trasporto, culminando con gli attuali insostenibili costi energetici, figli di derive speculative dei produttori ed esportatori di gas". Eppure, secondo Maccari, il conflitto russo-ucraino non avrebbe dovuto avere effetti così dannosi. "L’importazione da questi paesi riguarda pochi prodotti. Russia e Ucraina producono il 12% delle calorie scambiate nel mondo: il 75% dell’olio di girasole, il 29% dell’orzo, il 28% del grano tenero, il 15% del mais. Un impatto che avrebbe potuto essere assorbito reperendo quei prodotti su altri mercati". In una situazione di "crisi controllata" sarebbe dovuto accadere per l’import ciò che si sta verificando per l’export dei nostri prodotti individuando nuovi mercati, alternativi a quelli sotto embargo. Alcuni giganti come la Cina, però, hanno fermato l’esportazione di alcuni di quegli stessi prodotti. Così la situazione si è complicata e sta degenerando. C’è un aumento generalizzato dei prezzi al consumo perché la domanda è rimasta alta, ma l’offerta è crollata. Rispetto al 2021 l’aumento medio del prezzo dei generi alimentari è del 9,4%, con rincari più considerevoli negli oli alimentari di semi (+70,2%), burro (+22,6%) e pasta (+16,6%), anche se i costi di produzione sono stati scaricati solo in minima parte sui consumatori. "Gli aumenti – conclude Maccari - sono rimasti in carico alle aziende produttrici che si trovano di fronte a un bivio: sostenere l’onere dei costi energetici (e non solo) ormai fuori controllo confidando in un intervento delle istituzioni nazionali e comunitarie, oppure sospendere la produzione lasciando inevasi gli ordini in portafoglio, come alcuni hanno già cominciato a fare".