"Aiutiamo le donne a non sentirsi vittime"

In 220 si sono rivolte ai centri antiviolenza. Giusti: "Quando denunciano sono costrette a subire domande che provocano vergogna"

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di Paola Pagnanelli

Sono state 220 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza da gennaio a ottobre, e di queste 181 sono state prese in carico. "Ma il problema è la vittimizzazione secondaria – spiega Elisa Giusti della coperativa ’Il faro’, che gestisce i Cav di Macerata, Porto Recanati e Castelraimondo -. la maggior parte delle donne ci pensa dieci volte prima di denunciare il marito, ma quando lo fanno e arrivano in tribunale, sono costrette a subire domande incredibili, messe in discussione sotto ogni punto di vista. È dura".

Oltre agli sportelli dell’Ambito sociale 15, gestiti dal Faro e finanziati dalla Regione, un altro Cav è a Civitanova, finanziato solo dall’Ats 14. A Civitanova, negli ultimi dieci mesi si sono rivolte 73 donne, a cui si aggiungono le 126 di Macerata, 12 a Porto Recanati e 9 a Castelraimondo: in totale, 220. Le utenti del centro antiviolenza di Macerata e dello sportello di Civitanova hanno tra i 18 e gli 80 anni. La fascia di età prevalente è dai 40 ai 49 anni, "ma abbiamo rilevato un aumento nella fascia i 16 e i 29 anni, spesso tramite i social network - precisa Giusti -. Hanno chiamato anche minorenni. La maggior parte poi, 135, sono italiane, e buona parte ha un lavoro stabile. Le categorie sono trasversali. Inoltre, la maggior parte di queste donne ha figli minorenni".

Hanno chiesto di mettersi in protezione in nove, quasi tutte con figli o fratelli piccoli. "Le telefonate al Cav sono diminuite per le situazioni emergenziali, rispetto al picco dopo il Covid – prosegue ancora la responsabile -. Abbiamo preso in carico 181 donne. Abbiamo anche attivato un corso di italiano online, un corso per volontari, e due tirocini di inclusione sociale. In venti hanno chiesto il reddito di libertà, lo hanno ottenuto in quattro o cinque". Le donne chiedono soprattutto informazioni e supporto. "Quando necessario, le accompagniamo dalle forze dell’ordine, soprattutto con la dottoressa Peroni in questura abbiamo un ottimo rapporto. Ma difficilmente vogliono denunciare. In tribunale ci si ritrova giudicate su come si è donna, come si è madre, poi la lentezza dei procedimenti: è pesante. Sappiamo che hanno moltissimo lavoro, che ci sono un mare di situazioni conflittuali con denunce per qualsiasi cosa, ma la formazione specifica sulla violenza di genere e il maltrattamento in famiglia non dobbiamo farla solo noi. Dovremmo fare un libro con le domande che si fanno alle donne ai processi: cosa indossavi, che regali hai ricevuto, le ferite erano violacee, perché hai risposto al messaggio o perché non hai risposto. Anche per questo sulle violenze sessuali c’è ancora molta vergogna".

Elisa Giusti fa presente anche la questione dei figli di queste donne: "In 168 hanno assistito alle violenze. Quanti da grandi agiranno nello stesso modo? Quante avranno relazioni in cui saranno sottomesse"? I dati positivi riguradano, invece, la maggior facilità di accesso ai Cav, e i progetti sempre più frequenti con le scuole.