Amianto nell’ex fornace, il Tar dà torto alla Smorlesi

Accolti i ricorsi del commissario liquidatore: il Comune aveva imposto con ordinanze la bonifica e dal 2021 era emersa la presenza di rifiuti

Migration

di Paola Pagnanelli

Sulle bonifiche per l’amianto e i rifiuti abbandonati, il Tar dà torto alla Smorlesi. Accolti invece i ricorsi del commissario liquidatore. Si chiude così per ora la vertenza tra ex proprietà ed enti pubblici, in merito alla ex fornace di Valle Cascia di Montecassiano. La società Smorlesi Gaetana, Cecilia & C. srl aveva presentato tre ricorsi contro la Regione, il liquidatore Fabrizio Maggi, l’Arpam, l’Asur, i carabinieri forestali, il Comune e il sindaco di Montecassiano, e il comitato Voce libera Montecassiano. Il liquidatore Maggi a sua volta aveva depositato due ricorsi. Entrambi contestavano le ordinanze del 2019 e del 2021 con cui il Comune aveva imposto di bonificare il sito. Il Tar riepiloga la vicenda usando la memoria difensiva del Comune di Montecassiano, difeso dall’avvocato Leonardo Filippucci, partendo dalle nevicate del febbraio 2012, quando le coperture in cemento-amianto di alcuni capannoni crollarono. Da allora si sono suseguiti sopralluoghi e verifiche. Ma a giugno del 2013 la ditta chiede di essere ammessa al concordato preventivo, trattenendo 764.729 euro. A maggio 2016 l’assemblea dei soci della Smorlesi delibera la trasformazione da Spa a Srl, dispone lo scioglimento e la messa in liquidazione della Srl con liquidatore Alfredo Cesarini. A maggio 2018, il Comune procede con le bonifiche urgenti; Cesarini finisce sotto processo per mancata osservanza dell’ordinanza sindacale. Pur avendo cessato l’attività, a giugno 2018 la Smorlesi chiede alla Regione il rinnovo dell’autorizzazione integrata, poi negato. A febbraio 2021, emerge anche la presenza di rifiuti abbandonati, speciali pericolosi e non. Intanto la parte di stabilimento destinata a uffici è stata venduta ad Alessandro Micucci e alla Noi Immobiliare. Smorlesi e Maggi, che negli anni si sono rimpallati l’onere dei lavori, hanno contestato le ordinanze sostenendo di non essere tenuti a farli. Ma il Tar ha dato ragione al Comune e al sindaco Catena, respinto ogni pretesa della Smorlesi, e dato atto di come il liquidatore avesse invece fatto quanto dovuto. I giudici citano la sentenza del Consiglio di Stato, che ha sancito il principio "chi inquina paga" anche nei casi in cui l’imprenditore sia stato dichiarato fallito, ancora di più con il concordato preventivo. La Smorlesi si era anche tenuta oltre 760mila euro. "La società – recita la sentenza – ha deliberato la trasformazione in Srl, poi ha presentato domanda di rinnovo dell’Aia. Queste due iniziative sono state finalizzate ad attenuare le responsabilità dei soci, e a posticipare l’insorgenza degli obblighi connessi con la dismissione del sito". Su questo uso strumentale delle procedure, il Tar sollecita persino un intervento del legislatore.