Bocci: una vita di corsa "Alla maratona di Tokyo ho capito che potevo pensare in grande"

Dopo quel secondo posto solo gli infortuni hanno fermato il 70enne: "Ho percorso tanta strada e oggi ne sento le conseguenze. Questa disciplina mi ha insegnato a sopportare la sofferenza, ho trasmesso il piacere dello sport ai giovani" .

Bocci: una vita di corsa  "Alla maratona di Tokyo  ho capito che potevo  pensare in grande"

Bocci: una vita di corsa "Alla maratona di Tokyo ho capito che potevo pensare in grande"

di Lorenzo Monachesi

"Mediamente percorrevo 30-40 km al giorno, non ho mai tenuto il conto di quanti nei abbia macinati in totale". Il maratoneta Anelio Bocci, ora settantenne, si vedeva spesso percorrere chilometri su chilometri a Macerata e dintorni. "Ne ho fatta tanta di strada – aggiunge – e oggi ne sento le conseguenze".

Bocci, è d’accordo con gli appassionati e addetti ai lavori che indicano nel secondo posto alla maratona di Tokyo del 1981 il suo maggiore risultato?

"È così, e aggiungo purtroppo perché in quel momento ho creduto di potere pensare in grande e invece sono arrivati gli infortuni che sono condizionanti nello sport agonistico".

Quali sono i pensieri che le sono venuti in mente a Tokyo al termine della gara?

"Ero incredulo, ero arrivato secondo in una maratona internazionale, ero sopraffatto da una soddisfazione enorme avendo corso al fianco di atleti che avevano gareggiato alle Olimpiadi e che avevo battuto".

E sul podio? Cosa le è venuto in mente in quei momenti?

"Non credevo di stare lì, al fianco di gente più forte del sottoscritto. Successivamente mi sono reso conto di avere fatto un grosso risultato".

Quando ha iniziato a correre?

"Abbastanza tardi, a 17-18 anni".

Come mai?

"Prima giocavo a calcio, poi ho scoperto l’atletica grazie al professor Cristallini che mi ha avviato alle prime gare scolastiche".

Molti vedono nella maratona prima di tutto tanto sacrificio, lei invece cosa nota subito?

"Una gara stupenda, ricca di leggenda, con un passato storico e sicuramente il sacrificio. Tagliare il traguardo è un qualcosa di unico, anche completare la prova, a prescindere dal tempo, costituisce una conquista e un punto d’arrivo".

Spesso la si vedeva correre per Macerata, ogni volta usciva avendo un percorso ben preciso?

"Per noi, precursori della corsa, ogni allenamento è stata una lotta con gli automobilisti e con chi ci prendeva in giro. C’è voluta una volontà di ferro. Allenarsi a Macerata richiede un impegno maggiore non essendoci parchi. Uno dei percorsi classici toccava i vigili del fuoco, i Rotelli e la lunga di Villa Potenza".

Cosa si pensa in quelle ore di allenamento lungo la strada?

"All’obiettivo da raggiungere, a diventare qualcuno, a fare un risultato importante, è un fatto di orgoglio, di volere raggiungere determinati risultati. Alla base c’è una forte motivazione a sostenere allenamenti che richiedono tanti sacrifici".

Invece dove corre la mente durante le gare?

"Si pensa a controllare l’avversario, all’andatura, a tenere un ritmo adeguato".

Le quattro presenze nella nazionale rappresentano il coronamento di una carriera o c’è dell’altro?

"La maglia azzurra è un punto d’arrivo per un atleta, l’altro sono le Olimpiadi che ho solo sfiorato. Sono rimasto a casa, con grossa delusione, solo per il boicottaggio dell’Italia all’edizione di Mosca".

La maratona cosa le ha insegnato che le è stato utile nella vita?

"A sopportare la sofferenza, a non arrendersi mai, a rispettare l’avversario, a essere estremamente onesto con me stesso: mi ha aiutato molto".

Corre ancora oggi?

"Non ci riesco, cammino sebbene con qualche difficoltà".

Il professore Cristallini le ha trasmesso l’amore per l’atletica, lei da cosa è stato mosso negli anni da insegnante?

"Oltre alla corsa ho cercato di trasmettere il piacere dello sport. Penso di avere dato tanto ai ragazzi".

E loro cosa le hanno dato?

"Fa piacere quando ti chiedono, mostrano interesse e quando riesci a catturare la loro attenzione. Ecco, mi manca il rapporto con i ragazzi, la possibilità di trasferire il sapere a loro".