Tolentino, morto Bruno Barbaro. Fu tra i primi in via Fani dopo la strage

Tolentino, era stato coinvolto nelle inchieste sul caso Moro

Bruno Barbaro

Bruno Barbaro

Tolentino (Macerata), 12 gennaio 2018 - Non c'è più «l’uomo col cappotto di cammello». L’89enne Bruno Barbaro – fra i primi a intervenire in via Fani a Roma la mattina del 16 marzo 1978, quando le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e uccisero due carabinieri e tre poliziotti della scorta – è morto mercoledì mattina nella casa di riposo di Tolentino. Viveva in città da oltre dieci anni ed era nella struttura dal dicembre 2015.  Nato in provincia di Pordenone, si era trasferito a Roma lavorando come geometra e amministratore di una ditta edile, in via Fani. Dopo la pensione, aveva raggiunto il figlio Fabrizio a Tolentino. Fino alle 18 di ieri si è tenuta la veglia funebre nella sala del commiato Terracoeli, poi è stato cremato. In città, nessuno sapeva che quel vecchietto fosse l’uomo dei misteri. 

Barbaro era vedovo di Licia Pastore Stocchi e quindi cognato del colonnello Fernando Pastore Stocchi, ufficiale del Sid, Servizio informazioni difesa, che dirigeva la base di Capo Marragiu, sede di addestramento degli appartenenti a Gladio e a diversi corpi speciali, e stretto collaboratore del generale Vito Miceli. «Gli davo dello stupido perché era di destra – aveva raccontato Barbaro nell’ultima intervista rilasciata nell’agosto 2016 al Carlino –, ma mi era simpatico. Io ero vicino alla sinistra: sono stato partigiano, ho combattuto, militato nell’Anpi di Udine. Ho preso legnate dai tedeschi e dai fascisti, ma non racconto mai di quei tempi». 

Dopo 15 anni di silenzio dalla strage, nel 1993 Barbaro contattò la redazione del programma «Il rosso e il nero» dopo aver sentito per radio un testimone parlare di un uomo col cappotto color cammello. «Nessuno mi aveva mai cercato – ci aveva detto –. Ma sentita la notizia, ho pensato di presentarmi». A suo carico pendeva un procedimento della procura di Roma ed era stato interrogato il 5 marzo 2015 in Questura a Macerata, per conto della commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. Ha sempre smentito i legami con i servizi segreti, ipotizzati per la sua parentela con il colonnello Pastore Stocchi. Quella mattina ricorda di aver sentito i colpi di mitra mentre andava a lavoro. «Ho coperto il volto di un uomo senza vita sulla strada (l’agente Iozzino, ndr) con un giornale trovato nell’auto dei poliziotti. Poi è sopraggiunto un uomo che mi ha dato uno spintone urlando con la pistola in mano “Via, via, via di qua!”». E il caso resta irrisolto.