«Voglio giustizia. Lo devo a mio fratello»

Carabiniere di Tolentino ucciso in caserma, la sorella di Lucentini: «L’udienza fissata è un passo avanti»

Emanuele Lucentini, aveva 50 anni

Emanuele Lucentini, aveva 50 anni

Tolentino, 16 dicembre 2015 - «Manu non c’è più, ma il fatto che il giudice abbia accertato la colpevolezza di Armeni e fissato l’udienza di fronte alla Corte d’assise di Terni per il 12 aprile per noi è un passo in avanti. Come il fatto che la Procura continui ad indagare sui cinque soggetti che avrebbero insabbiato e messo a tacere alcuni elementi sull’omicidio di mio fratello. L’importante è che venga fatta chiarezza, lo devo a Manu».

A parlare è Daniela Lucentini, la sorella di Emanuele, il carabiniere 50enne di Tolentino morto lo scorso 16 maggio nella caserma di Foligno, dove prestava servizio da anni, per un colpo di mitraglietta M12 sparato dal collega Emanuele Armeni.

La difesa di quest’ultimo, accusato di omicidio premeditato e abuso di potere e violazione dei diritti inerenti alla pubblica funzione, lavora comunque sul rito abbreviato per ottenere lo sconto di un terzo sulla pena, condizionato ad una perizia balistica per ricostruire la dinamica dell’omicidio in caserma. Gli avvocati Montesoro e Zaccaria hanno tempo fino a sabato per depositare l’istanza e far tornare indietro il processo.

«A nostro avviso si è trattato di un omicidio colposo e comunque otterremmo lo sconto di legge accedendo al rito abbreviato - spiegano -. Riteniamo però che si possa fare chiarezza solo con una perizia tecnica». Sarà il gip del tribunale di Spoleto a stabilire se si tratta di un accertamento indispensabile per arrivare a sentenza. Agli atti dell’inchiesta, sul delitto c’è la consulenza del dottor Emilio Galeazzi, nominato dal procuratore Alessandro Cannevale e dal sostituto Michela Petrini che sposa la tesi dell’omicidio volontario.

L’avvocato della famiglia Lucentini, Maria Antonietta Belluccini, ricorda inoltre il concorso che ha portato alla rimozione dei vertici della caserma di Foligno, chiedendosi come mai venga quasi tenuto nascosto: ad esempio il capitano Antonio Memoli è stato mandato a Firenze e il generale Roberto Boccaccio a Milano. «Qualcuno, come il pm di Spoleto Michela Petrini, si è dato da fare, ho fiducia – continua la sorella della vittima –. Ci sono tanti delinquenti a spasso e un uomo per bene come mio fratello merita giustizia. Questo Natale mio fratello non c’è, ma stiamo sentendo la vicinanza di tante persone che gli volevano bene. Il comandante della Legione carabinieri Marche, il generale Marco Mochi, la scorsa settimana è venuto a farci gli auguri di persona. Per mio padre (Giancarlo, ndr.) è stato un gesto di grande importanza, significa che suo figlio sapeva fare il proprio lavoro. Al di là della divisa che porta, Mochi ci è stato accanto umanamente. Come l’amico di Manu, il comandante Alfonso De Luca, che lo scorso 30 novembre, quando mio fratello avrebbe compiuto 50 anni, ha organizzato una festa al camposanto con oltre cento persone e ha adottato una bambina a distanza. Ogni anno, a mezzogiorno, ci troveremo lì fino a che non saremo Uno».