Violenza sulle donne, nelle Marche un centro terapeutico per 'curare' gli uomini violenti

Appartamenti per mariti e compagni che vogliono uscire dal tunnel, l’iniziativa di ‘Polo 9’. Ciccarelli: "All’inizio accusano il sistema che li giudica, poi iniziano a comprendere gli errori"

Macerata, 12 novembre 2022 - Percorsi mirati per gli uomini autori di violenza, per evitare che ripetano i comportamenti di abuso. Parte da Macerata il progetto Cuav Marche, inaugurato ieri mattina in città e pronto a decollare nelle altre quattro province regionali. L’Ambito territoriale sociale 15 di Macerata è stato individuato dalla Regione, con l’accordo degli altri Ambiti provinciali, come referente per la realizzazione del Sistema di servizi e interventi rivolti agli uomini autori di violenza. In concreto, si tratta di un percorso terapeutico della durata di circa un anno, finalizzato a far acquisire la consapevolezza necessaria a evitare futuri comportamenti violenti. Per alcuni casi, quando è necessario l’allontanamento dalla casa familiare, sono disponibili due appartamenti, uno a Macerata e uno ad Ancona, per ospitare cinque uomini. Al progetto collaborano le cooperative Polo 9, come capofila, Il Faro, On the Road e Labirinto per attivare nelle varie province centri di ascolto e aiuto. L’intervento è finanziato dal dipartimento pari opportunità della Regione.

Il taglio del nastro con il sindaco Sandro Parcaroli
Il taglio del nastro con il sindaco Sandro Parcaroli

"Siamo pionieri di un progetto importantissimo: la violenza non è malattia ma retaggio culturale, e gli uomini che la commettono vanno sì, puniti ma anche rieducati" ha detto la presidentessa della commissione regionale per le pari opportunità Maria Lina Vitturini. Cinque numeri sono già attivi per Macerata, Ancona, Fermo, Ascoli e Pesaro-Urbino, da chiamare per fissare gli appuntamenti e avviare i percorsi. "Al 31 ottobre – ha ricordato il vice sindaco di Macerata Francesca D’Alessandro – al Centro antiviolenza Sos Donna sono arrivate 221 chiamate e 180 sono state quelle prese in carico. Ora si offre un percorso di accompagnamento al cambiamento".

Dottoressa Antonella Ciccarelli, con la cooperativa Polo 9 ad Ancona lavorate dal 2015 con gli uomini autori di violenza e oggi siete capofila nel progetto Cuav, voluto dalla Regione Marche e partito da Macerata. Quanti casi avete trattato in questi anni?

"Consideriamo che almeno 500 donne ogni anno si rivolgono ai centri antiviolenza provinciali. Per gli uomini, dovremmo avere numeri simili e ora le nuove leggi danno una spinta ulteriore ad avviarli a fare un percorso. Con Polo 9 in otto anni abbiamo visto crescere il numero di uomini che hanno chiesto aiuto. Ne abbiamo seguiti oltre 150, quasi tutti avevano una relazione famigliare, il 90 per cento aveva figli e, va sottolineato, restano comunque padri: scontata la pena, queste persone si ritrovano con lo stesso problema che avevano prima, se non viene trattato".

Come sono gli uomini che iniziano il percorso?

"All’inizio, si raccontano come vittime di un sistema che li giudica violenti, che non permette loro di esercitare quello che credono sia il loro ruolo. La violenza fisica è definita “un errore“, quella psicologica o economica è negata, quella sessuale all’interno di un rapporto di coppia è considerata impossibile, come pure è poco percepita quella dopo una serata: spesso gli uomini dicono “avevamo bevuto, pensavo che fosse d’accordo“. Sono convinti che le donne siano condizionate dalle famiglie, o da un’amica, non si mettono in discussione: “io pago il mutuo“. Lentamente acquisiscono una narrazione riferita a se stessi, e lì c’è il primo cambiamento".

Da cosa nasce questa violenza sulle donne? C’è una matrice comune?

"Sono ancora molto presenti gli stereotipi di genere di natura patriarcale. Spesso gli uomini violenti riproducono modelli subiti o respirati, una cultura vissuta in casa. Tra gli immigrati, per fare un esempio, vediamo molte differenze tra chi vive qui da 25 anni e chi è arrivato da poco. Vediamo quanto la cultura possa agire su di loro".

Come si rompono questi schemi?

"Una volta con un gruppo ho fatto presente che ero ancora al lavoro alle 21.30, e non avevo preparato la cena a mio marito, per aprire una breccia. Una leva forte sono i figli: gli uomini violenti non capiscono perché gli vengano tolti, si ritengono buoni padri, considerano i bambini estranei al conflitto, e i figli possono essere una spinta per loro".

Per molti, il percorso psicologico è una condizione imposta dal tribunale. Ma oltre a questo, quale obiettivo hanno gli uomini che chiedono aiuto?

"Tutti hanno in mente di risistemare le cose, in primis con i figli, e poi con la compagna, che magari è in una casa famiglia. Noi dobbiamo spiegare che bisogna sistemare il pensiero, non la relazione. Il nostro obiettivo è ridurre il rischio di recidiva, per questo ci vorrebbe un follow up, che segua l’uomo anche dopo che i tribunali hanno completato il loro intervento".

Chi troveranno gli uomini che si rivolgeranno al Cuav?

"Troveranno personale specializzato e maschile, è importante. E poi un momento di gruppo con una specialista donna, per far capire loro che serve una competenza emotiva, un dialogo, se non si vuole perdere una compagna".

Capitano casi particolarmente ostici?

"Certo. Una volta dovemmo tirare fuori un uomo da un gruppo, aveva comportamenti di controllo anche lì".