"Che bella emozione poter rivedere la zia"

La residenza "Santa Maria al Chienti" di Montecosaro ha riaperto le porte ai familiari dopo tre mesi: visite senza baci né abbracci

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A Montecosaro, la Rsa "Santa Maria al Chienti", del gruppo Santo Stefano, è stata chiusa alle visite il 6 marzo, come disposto dai vari decreti per evitare il contagio causato dal Coronavirus. Dopo tre mesi, gli ospiti hanno potuto incontrare i loro parenti, con emozione e qualche lacrima. Un incontro soft, però, senza abbracci né baci, nel rispetto del distanziamento, forse per questo più ricco di emozioni. I ricoverati sono 78, sette in meno rispetto all’effettiva capienza, in adesione alle procedure che sono osservate anche in questa fase di allentamento del rigore, che ha portato ad aprire le visite ai parenti. Un rigore che ha premiato tutti, ospiti e gestori: la struttura è stata infatti preservata da ogni contagio. Oggi gli incontri sono programmati: due al mattino e due nel pomeriggio, in un’area di accoglienza ampia e luminosa, sanificata a ogni visita. Soltanto due i familiari ammessi, debitamente distanziati. A noi è stato concesso di assistere all’abbraccio ideale di una paziente con i suoi cari. Lei si chiama Vittoria Garbuglia, ha 88 anni, fisico minuto, ed è di Montecosaro. Gioca quindi in casa, la vecchina, che non si è mai sposata e si muove in carrozzina. A farle visita, il fratello Augusto e la nipote Sara. Lei è una donna mite e silenziosa, abbassa la testa e getta lo sguardo dolce verso l’ingresso, dove di rimpetto sono seduti i suoi congiunti. "È stata sempre una donna silenziosa – dice la nipote –, ma parlano i suoi occhi. Abbiamo visto una donna serena, forse siamo più emozionati noi che lei. Non la vedevamo da febbraio, tre mesi sono tanti, grande emozione da una parte e dall’altra. Ci siamo spesso sentiti e visti con le videochiamate, cosa che tranquillizzava lei e noi". "Tre mesi che hanno cambiato la vita a tutti – le fa eco Augusto –, anche a noi. Pensavamo spesso a Vittoria, alla sua solitudine, ma sapevamo che era in buone mani". La tecnologia ha alleviato il distacco, come conferma Monica Pennesi, direttrice sanitaria e di struttura. "La sicurezza e la necessità di prevenire il contagio sono state sempre al primo posto, come da protocollo e come era giusto che fosse, ma il rapporto umano non è venuto mai meno. Ogni giorno, a turno, venivano stabiliti rapporti con le famiglie attraverso videochiamate o telefonate, servivano per dare sicurezza. Adesso c’è la possibilità di vedersi e questo è un passo in avanti, speriamo che presto si torni alla normalità e magari a riorganizzare come una volta feste e incontri che animavano la struttura prima del Covid". Un’altra spinta per la serenità degli ospiti della Rsa sono poi gli spazi luminosi, la grande umanità e disponibilità del personale, cui va la riconoscenza delle famiglie e della Pennesi. In certe situazioni, la vicinanza umana è una potente medicina.