Chernobyl, tecnici maceratesi al lavoro per la bonifica della centrale nucleare

Roberto Rastelli della società Meloni: “Ho superato la paura, c’è solo desolazione’’

Sopralluogo a Chernobyl

Sopralluogo a Chernobyl

Macerata, 15 luglio 2019 - Il successo della miniserie trasmessa su Sky ha riportato l’attenzione di tutto il mondo sulla catastrofe nucleare di Chernobyl avvenuta nel 1986. L’incendio con conseguente esplosione del nocciolo del reattore n.4 causò il decesso di migliaia di persone. Per non parlare del numero incalcolabile di malati e l’evacuazione di intere città. Pur in funzione dal 2016, nei giorni scorsi è stato inaugurato il nuovo scudo protettivo del reattore, che dovrebbe limitare le radiazioni, che ancora escono, per un secolo. Quello che i telespettatori non sanno dell’incendio è che un’azienda nostra, la Meloni Techno Handling di Tolentino, è presente a Chernobyl. Unica del maceratese, delle Marche e di tutta Italia. È in Ucraina dal 2016 con operai, tecnici e figure specializzate, cinque per l’esattezza: il maceratese Roberto Rastelli elettrico-meccanico, il capo cantiere corridoniense Ivano Lana, l’elettricista piediripense Emanuele Coloso, l’addetto al software Luca Calcabrini di San Severino e l’elettricista maceratese di origini ucraine Ivan Irnik. Abbiamo sentito al telefono Rastelli per capire l’attività fatta a Chernobyl (in realtà la città più vicina al disastro è Pripyat a 3 km), ma soprattutto cosa si prova a essere nel luogo dell’esplosione che fu 4 volte più forte della bomba di Hiroshima e dove la vita umana non potrà più esserci per chissà quanto tempo.

Rastelli, cosa fate di preciso?

«Abbiamo installato nuovi carroponti e ripristinato quelli vecchi. Il progetto IFS2 ha come obiettivo di tagliare le barre di uranio dentro il bunker del reattore, un treno piombato le porta poi in un nuovo sito di stoccaggio del materiale radioattivo».

Che turni svolgete?

«Lavoriamo in gruppi di due persone, mai tutte insieme, per circa 8 ore al giorno. Ci restiamo due settimane al mese».

Ma non avete paura di lavorare in un posto così pericoloso?

«Quando ci fu proposto inizialmente avevo un po’ di paura e a casa i familiari mostrano sempre preoccupazione. Tuttavia nelle aree intorno al reattore (lì anche oggi si morirebbe dopo pochi minuti) la radioattività non è così alta. Certo, quando in passato ci sono stati allarmi bomba... se saltasse la copertura sarebbe terribile».

Eppure a Pripyat non si potrà tornare a vivere prima di secoli...

«Sì ma il problema non è la radioattività nell’aria che ormai è abbastanza bassa, si può anche lavorare senza mascherina. Il problema è la contaminazione della natura, dell’acqua, degli animali e quindi del cibo».

Non ha paura ad esempio quando si fa la doccia?

«No, perché al ritorno da ogni giornata di lavoro arriviamo a Kiev che dista 2 ore da lì e alloggiamo in un hotel internazionale. Nella capitale non ci sono problemi, la situazione è sotto controllo».

E voi come venite controllati a livello medico?

«Ogni giorno all’uscita dall’area di lavoro ci sono due posti di blocco con apparecchi che rilevano le radiazioni (anche ai turisti), poi nel 2016 ci fecero uno screening con i raggi gamma per verificare il livello di radioattività. Ogni volta che finiamo una missione veniamo ricontrollati dal centro Enea a Roma. Nessuno ha mai avuto problemi o anomalie».

Che effetto fa invece l’abbandonato paesaggio?

«Brutto, non c’è nessuno, solo desolazione e degrado. La natura si è ripresa quasi tutto con l’erba che cresce ovunque, l’ambiente è davvero molto tetro».