Contagi ai livelli dello scorso inverno "Ma ora i ricoverati sono la metà"

In provincia 5.500 persone costrette a casa con il virus: è lo stesso numero dei giorni del picco di febbraio. Il medico Caraceni: "La pericolosità clinica è minore, ma i casi sono tanti e la situazione è complessa"

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di Franco Veroli

Caso più, caso meno, alla data di ieri in provincia di Macerata abbiamo lo stesso numero di positivi al Covid (circa 5.500) dello scorso 9 febbraio, quando si riteneva che la pandemia avesse toccato l’apice. Il quadro è articolato, ma chiaro: in 30 comuni (su un totale di 55) i positivi sono persino in numero maggiore rispetto a cinque mesi fa, in alcuni il numero è lo stesso – o quasi – in altri è più basso (ma non tanto). Tra i centri più importanti in cui si registra un numero di contagiati in crescita, da segnalare, in particolare, Camerino che conta oggi 105 positivi contro i 56 di febbraio, Cingoli, con 170 contro 90, o Recanati, 394 contro 316. A Macerata i positivi sono 734, praticamente gli stessi – 736 – di febbraio, a Treia sono 185 contro 190, a Civitanova se ne contano 790 contro 867, a Tolentino 382 contro 460, a San Severino 194 contro 219. Insomma, piccoli scostamenti, mentre in alcuni comuni i casi sono addirittura quadruplicati, come a Sant’Angelo in Pontano, dove a febbraio i positivi erano 9 e oggi sono 37, o addirittura quintuplicati, come a Serravalle, a febbraio erano 5, oggi sono 24.

Certo, allora nelle Marche avevamo 367 ricoverati, 51 dei quali in terapia intensiva e otto morti in un giorno, mentre oggi i ricoverati sono 185 e solo otto quelli in terapia intensiva. Ma, almeno per quanto riguarda i nuovi contagi, siamo messi molto peggio rispetto al 14 luglio dello scorso anno, quando furono registrati 60 nuovi positivi in tutta la regione (4 dei quali in provincia di Macerata) e 12 ricoverati. "Abbiamo ufficialmente gli stessi casi di febbraio, ma tenendo conto di quelli che sfuggono penso siano anche di più", sottolinea Luciano Caraceni, medico di base, ma a lungo anche coordinatore di una delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) dell’Area Vasta 3, che hanno cessato di esistere lo scorso 30 giugno. "Dal primo luglio – prosegue – la gestione del paziente grava solo su di noi, medici di base. La pericolosità clinica del virus è inferiore, ma i casi sono davvero tanti. Ci troviamo a gestire una situazione complessa. Tra l’altro non vedo a breve la possibilità che la situazione migliori". Secondo Caraceni, la stagione estiva, insieme alla "riapertura" generalizzata, ha comportato più spostamenti e contatti e l’abbandono di fatto di ogni meccanismo di protezione. "Il fatto che non ci siano più norme ad imporre l’uso della mascherina, ad esempio, non vuol dire che questa, secondo il buon senso, non debba essere indossata, in particolare negli ambienti chiusi o affollati. Al momento, vaccino a parte, è l’arma più efficace di cui disponiamo per contenere i contagi". E, a proposito di vaccino, Caraceni non ha dubbi. "È bene che gli ultrasessantenni e i soggetti fragili facciano la quarta dose. È vero che c’è un dibattito in corso, diciamo così, in vista di un vaccino che garantirebbe una maggiore copertura in arrivo a settembre. Ma per ora è solo ipotetico, non c’è alcuna certezza". Dunque, meglio non correre rischi. E i primi dati sulle prenotazioni della quarta dose per gli over sessanta appaiono confortanti, tanto che nei centri vaccinali si è tornato a lavorare a ritmi impensabili fino a qualche settimana fa. Le richieste di vacchini si sono moltiplicate con l’aumentare dei casi; non manca chi sceglie di fare solo ora la prima dose. La domanda di iniezioni si scontra al momento con una ridotta capacità di risposta da parte degli hub. Come ha spiegato ieri sul Carlino Daniela Corsi (direttrice dell’Area Vasta 3), ci sono problemi di personale e di spazi. A Piediripa, infatti, il nuovo centro vaccinale è molto più piccolo rispetto a quello utilizzato lo scorso inverno. Per questo l’Asur è alla ricerca di una nuova struttura.