Coronavirus Civitanova. “Lacrime di gioia per l’infermiera risvegliata’’

Il primario di Rianimazione Daniela Corsi: sembra di vivere nella peste descritta da Manzoni, ma quando un paziente si riprende ti ripaga di tutto

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Civitanova (Macerata), 26 marzo 2020 - "In ospedale dobbiamo essere solo una macchina che lavora. Dobbiamo sdoppiarci da noi stessi. Questo perché, nel momento in cui ci fermiamo a pensare e torniamo umani, il fardello è troppo pesante da portare. Quando muoiono i pazienti è insopportabile. Ci fa stare male. L’altro giorno, intorno a una persona che non ce l’ha fatta, ci siamo messi a pregare".

Ha la voce rotta dal pianto Daniela Corsi, primario di Rianimazione nella struttura di Civitanova, interamente riconvertita Covid: vincendo una profonda commozione racconta il momento più buio nei suoi 27 di carriera da medico anestesista. "Ho partecipato alla missione a L’Aquila per il terremoto, ma qui è tutta un’altra storia".

Si corre contro il tempo, tutti i giorni, con le piaghe lasciate sul volto dagli occhiali e dalle mascherine, bevendo poca acqua perché spesso non si riesce ad andare in bagno. "Abbiamo avuto quattro decessi – spiega Corsi –. Sembra di vivere nella peste descritta da Manzoni. Quando un malato non ce la fa, viene avvolto in un lenzuolo. Poi si spruzza il disinfettante, e il corpo viene messo in una bara di plastica. I familiari non possono più vederlo. Neanche da morto". Molti sono i momenti di stress e di pianto: "A volte si fa fatica a respirare, con tutti quei dispositivi addosso. Ci sarebbe bisogno di una pausa ogni tre ore, ma questo è impossibile. I medici fanno turni da quasi 12 ore consecutive, gli infermieri sono stanchissimi. L’assistenza a questi pazienti è impegnativa, oltre che dal punto di vista emotivo e psicologico, anche dal punto di vista fisico. Abbiamo la schiena a pezzi. Ci facciamo forza, gli uni con gli altri, sperando che questa avventura – chiamiamola così – finisca prima o poi, e quando usciamo dall’ospedale facciamo finta che la vita continua, e cerchiamo di dare coraggio ai nostri familiari. In corsia ci diciamo l’uno l’altro ‘dai ragazzi, ce la faremo’. Non molliamo mai".

Certe volte però il sorriso si spegne. "Una parte molto difficile è dare le notizie ai familiari per telefono, con loro comunichiamo due volte al giorno, dalle 12.30 alle 13.30 e dalle 18.30 alle 19.30. Noi ci mettiamo tutti noi stessi, in questa comunicazione. I familiari ci domandano come sta andando, ma spesso li sento quasi rassegnati, come se si aspettassero da un momento all’altro la brutta notizia. A noi fa male, fa malissimo, perché ci mettiamo nei loro panni, e vorremmo far andare le cose diversamente. Pensiamo anche che potrebbe toccare a noi la stessa cosa".

Al reparto di Rianimazione di Civitanova lavorano 15 medici a rotazione e 30 infermieri, e si è unito anche il personale del blocco operatorio. "Sembra di vivere in una realtà parallela – sottolinea Corsi –, e l’aspetto logorante è l’incertezza. L’emergenza, a mio modesto parere, non finirà tanto presto. Un conto è farsi forza pensando che tra un mese si tornerà alla normalità, un altro è mettersi nella prospettiva mentale di viaggiare a questi ritmi a tempo indeterminato, è impossibile fare previsioni. Faccio colazione, alle otto in ospedale fino alla sera alle 19. Si lavora a pieno ritmo e in più io, in quanto primario, devo coordinare la squadra. Ciascuno si ricava una mezzoretta di pausa per mangiare qualcosa. Torno a casa, mangio e vado a dormire, da tempo ormai non ho più nemmeno la forza di vedere la televisione. E il giorno dopo si ricomincia daccapo".

C’è spazio anche per gioire, ogni tanto. "Quando un paziente si sveglia, ci ripaga di tutto. Di solito ha gli occhi stanchi, non riesce a parlare, ma noi gli diciamo ‘Dai che ce l’hai fatta. Un momento toccante è stato il risveglio della nostra infermiera contagiata. Ci ha sorriso e ha messo il pollice verso l’alto. Tirarla fuori da lì è stata una gioia immensa. Ci riscopriamo persone forti, non pensavamo di esserlo. Questa situazione ci mette a dura prova, ma sono contentissima del mio staff, che ringrazio. Davanti a questo virus siamo tutti uguali. Tra le lacrime e le piaghe sul viso continuiamo a lottare, compatti, da grandi combattenti". Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che hanno fatto donazioni e lanciato raccolte fondi per l’ospedale.