"Da un mese non abbraccio i figli e non posso accarezzare i malati"

L’oncologa Tiziana Saladino dell’ospedale di Macerata: in questo momento difficile ho riscoperto il valore della professione

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Macerata, 30 marzo 2020 – «Da un mese non abbraccio i miei figli e non do conforto con una carezza ai miei malati. È difficile per me come mamma e come medico, ed è difficile per tutti comprendere il motivo di questo distacco improvviso, che può sembrare freddo". A dirlo è il medico oncologo Tiziana Saladino, in servizio all’unità operativa di oncologia dell’ospedale di Macerata, guidata da Nicola Battelli. "È difficile anche per me, sono una persona per la quale il contatto umano e anche l’affetto sono fondamentali, sia nella vita privata, che in quella professionale". Oltre a essere oncologa, lei è moglie e madre. Come è composta la sua famiglia? "Anche mio marito è medico (Paolo Cerchiara, anestesista rianimatore, ndr ) e abbiamo due figli di 13 e 9 anni. Siamo della Calabria, dove si trovano le nostre famiglie di origine, e solitamente nella casa delle Marche c’è sempre qualcuno che segue i ragazzi. Ora è tutto più complicato tra turni a incastro e le precauzioni". Quando smontate dal turno e tornate a casa, cosa accade? "Una cosa stranissima, dolorosa ma necessaria. Non appena apro la porta, sento i passi di mio figlio piccolo e dei cani che mi danno il benvenuto. Ora devo farli allontanare. Lascio fuori dalla porta scarpe e indumenti, corro a fare una doccia, poi indosso di nuovo la mascherina e i guanti. La stessa cosa vale anche per mio marito". Cosa le dicono i bambini? "All’inizio non è stata facile. Ho provato a raccontare che stiamo tutti combattendo una guerra contro qualcosa che non conosciamo e per cui non abbiamo una cura. Questo li impaurisce e li delude. Prima, loro ci vedevano come degli eroi, che risolvevano ogni cosa e ogni malattia. Ora, invece, sono molto pensierosi". Cosa manca di più a voi tutti? "Come sempre, il contatto umano, il non poterli abbracciare, poterci giocare e poterli consolare. Cerchiamo di sdrammatizzare e adesso che abbiamo allungato il tavolo per rispettare la distanza di sicurezza, mentre mangiamo inventiamo le storie divertenti". Come è la situazione nel reparto di oncologia? "Qui ci sono doppia sofferenza e doppio timore. Qui si lotta sempre per la vita e ora alla paura di morire per la malattia si è aggiunta quella di essere contagiati". Come sono somministrate le terapie salvavita? "Abbiamo esteso l’orario del day hospital anche al pomeriggio. Scaglionando le persone, si ha modo di abbassare un po’ il livello di ansia e di preoccupazione. Per fare coraggio ai miei malati li accarezzavo e poi li abbracciavo. Adesso sorrido da dietro la mascherina e non so neanche se loro, con la loro mascherina, avvertano l’empatia, la condivisione". Quando questo difficile periodo sarà terminato, che cosa pensa le rimarrà? "Mi sono imposta di non dimenticare nulla. In questo periodo ho riscoperto il valore della professione e il motivo per cui ho studiato. Inoltre avverto anche molta più solidarietà tra i colleghi". Paola Olmi