"Così il piccolo principe parla maceratese"

Agostino Regnicoli ha tradotto in dialetto il grande classico di Saint-Exupéry. "Il vernacolo ha la stessa dignità di una lingua nazionale"

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di Marta Palazzini

"Il dialetto è una cosa seria, come la storia del Piccolo principe". Ed ecco per Vydia Editore la traduzione di uno dei classici della letteratura per ragazzi, "Il piccolo principe" di Antoine de Saint-Exupéry, riscritto "co’ la parlata de Macerata" da Agostino Regnicoli. Un’operazione culturale attraverso la quale Regnicoli intende dare dignità al dialetto, perché è anche attraverso questo idioma che esprimiamo la realtà e il nostro mondo di valori. Regnicoli è tecnico amministrativo a Unimc, ma è anche uno studioso appassionato di fonetica e grafia dei dialetti. Tra collaborazioni e riconoscimenti, l’anno scorso il suo manuale di ortografia dialettale, "Scrivere il dialetto. Proposte ortografiche per le parlate delle aree maceratese-camerte e fermana (Macerata, Eum 2020)", si è classificato secondo nella sezione "Tullio De Mauro" del premio ‘Salva la tua lingua locale 2021’.

Regnicoli, perché ha scelto questo classico per ragazzi?

"Per una vecchia passione verso quest’opera, che si presenta come una favola per bambini, ma in realtà è un richiamo rivolto agli adulti a recuperare il senso della vita attraverso i valori che contano veramente, come l’amore e l’amicizia. Avevo già tradotto il primo capitolo come esempio di trascrizione dialettale nel manualetto di ortografia maceratese Scrivere il dialetto. Ma l’appetito vien mangiando". Qual è la finalità di tradurre un’opera in dialetto?

"Il dialetto è spesso usato per intrattenere, per suscitare qualche risata più o meno "grassa": non c’è niente di male, ma spesso dimentichiamo che ogni dialetto ha la stessa dignità e complessità di regole di una lingua nazionale, e come questa esprime la realtà e l’insieme dei valori della comunità linguistica che lo parla. Tradurre un’opera classica (e a mio parere "Il piccolo principe lo è") è un’operazione culturale seria. L’editore Vydia di Montecassiano ci crede, tanto da avere avviato la collana "CasediTerra". Se il lavoro sarà riconosciuto come ben riuscito, questa sarà un’ulteriore dimostrazione che il dialetto può essere usato pure per cose serie". Come suona in maceratese "L’essenziale è invisibile agli occhi"?

"Quello che cconda perdaéro rmane bbuscato a ll’ócchji". Il traduttore cerca di restituire il senso alla luce della sua sensibilità e delle sue competenze: altri traduttori avrebbero forse reso la frase in modo diverso, ma non per questo meno valido". "Il piccolo principe" è diventato "Lu pringipittu", e gli altri personaggi?

"Abbiamo lu fjore, li vaovabbe (i baobab), la gorba (la volpe), lu re, lu vanitusu, lu mbrïacó, l’òmu d’affari, lu lambjonà (il lampionaio), lu sgïògrafu (il geografo), li cacciatù (i cacciatori), lu vutticande (il mercante), lu serpènde... In fondo al libro c’è anche un glossario: così, pure chi non parla un dialetto stretto potrà capirne il significato". Qualche ragazzo maceratese leggerà prima la sua versione che quella originale: cosa può aggiungere la lettura in dialetto alla storia?

"Forse la lettura in dialetto può rendere il testo più familiare; si tratta di un testo che, se ben tradotto, funziona altrettanto bene in tutte le lingue del mondo: non è un caso che, se escludiamo i testi sacri, questo sia uno dei libri più tradotti del mondo".