di Franco Veroli Dottor Chiodera, quando è arrivato a Macerata e perché? "Il 4 settembre 2001. Dopo 20 anni a Brescia come medico ospedaliero "secondario", mi sentivo pronto per fare il primario. Allora non c’erano molte possibilità. Giampiero Carosi, direttore della cattedra di Malattie infettive dell’Università di Brescia, mi disse che c’era un concorso a Macerata. Dopo il pensionamento di Federico Betti, il posto doveva andare per via naturale a Carlo Urbani, che vi lavorava da anni, ma che si era licenziato per andare all‘Oms". Che ambiente ha trovato? "Un reparto vivo, 22 posti letto, sempre pieni, con un settore a pressione negativa che ci permetteva di ricoverare anche i pazienti più contagiosi, tubercolosi polmonare compresa. Pochi collaboratori medici, ma validi. Ottima accoglienza dei colleghi e dei vertici aziendali". Quali erano al tempo le priorità da affrontare? "La prima fu riorganizzare l’attività ambulatoriale, cosa che feci subito e – credo – con ottimi risultati. Strutturai meglio anche l’assistenza nei nostri tre principali filoni ambulatoriali: Hiv, epatiti virali, tubercolosi". La palazzina in cui operava era un presidio provinciale, specie nel contrasto all’Aids… "Certo. Venivo da 20 anni di Aids, che ho visto nascere ed evolvere in un centro (Brescia) che era sempre stato al terzo posto per numero di casi dopo Milano e Roma. La rete per contrastare l’AidsHiv prevedeva un reparto di Malattie infettive per provincia: a Macerata eravamo il presidio a cui facevano capo tutti i casi di Aids conclamato e i soggetti Hiv positivi". Come è evoluta la situazione dell’Aids? "Al tempo erano molti di più i pazienti da ricoverare per Aids conclamato. Già nel 2001, però, la terapia farmacologica era molto efficace. Così i ricoveri sono calati e ora i pazienti sono quasi esclusivamente ambulatoriali. Si ricoverano i soggetti che, non sapendo di essere infetti, a un certo ...
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