Dare del "lei", una questione di rispetto

Alessandro

Feliziani

Giorni fa mi trovavo in fila alla cassa di un supermercato e due signore dietro di me parlavano dell’aumento dei prezzi. Una delle due riferiva di aver notato forti differenze tra un marchio e l’altro e ad un certo punto citava il nome di un supermercato. "Ah, no! – rispondeva l’altra – Lì non ci metto più piede da tempo. Ogni volta salutavo con un buongiorno o buonasera e mi sentivo rispondere ciao. Mi davano del tu, come se fossi stata la sorella, quando avrei potuto essere la madre e, per alcune cassiere, forse anche la nonna". Dentro di me pensavo a quante volte, nonostante i miei capelli ormai bianchi, mi fosse capitata la stessa cosa con giovani commessi o commesse nei più disparati negozi. Di recente è successo anche nelle serate in cui ho partecipato agli "Aperitivi europei". Appena seduto ad un tavolo, il saluto ricevuto è sempre stato: "Ciao, che ti porto?". Forse in quel contesto prettamente giovanile la mia presenza era inadeguata, ma sta di fatto che oggigiorno tanti giovani si esprimono con il "Tu", quando si rivolgono a persone non conosciute o comunque molto più adulte di loro. Probabilmente sono convinti che il "Lei" sia un eccesso di formalità, quando in realtà è solo indice di rispetto nei confronti dell’altra persona.

Mentre la fila si muoveva lentamente, data l’ora di punta e gente con carrelli stracolmi, mi veniva in mente l’episodio, trasmesso anni fa dalle TV di mezzo mondo, accaduto ad Emmanuel Macron all’indomani della sua prima elezione a presidente della Francia. Al termine di una cerimonia, mentre il presidente passava a salutare la folla, un ragazzo gli si rivolse con una frase che, tradotta, è più o meno: "Come va, Manu?", provocando la stizzita reazione del presidente, che lo redarguì pubblicamente invitandolo a tenere il giusto contegno. Nel frattempo era arrivato il mio turno e, finito di posare la merce sul nastro trasportatore, ecco la cassiera che mi dice: "Ciao, ce l’hai la tessera fedeltà?".