Elvidio Farabollini, l’arte fuori dagli schemi

Cinquant’anni fa la morte del pittore, disegnatore e incisore di Treia. Nel 1990 il Comune gli dedicò una grande mostra retrospettiva

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di Alessandro Feliziani

Il primo luglio di cinquant’anni fa moriva prematuramente il pittore, disegnatore e incisore treiese Elvidio Farabollini (1930-1971). Un malore improvviso lo aveva colto mentre era in compagnia di alcuni amici lungo una via del centro storico di Treia. Si spegneva così la vita di un artista, che aveva trovato una sua completa dimensione nella pittura e nell’arte dell’incisione, con ampi e unanimi riconoscimenti da parte della critica. In tutte le biografie pubblicate in occasione delle molte mostre che gli sono state dedicate, sia in vita (tra cui Roma, Padova, Washington, Bologna, Napoli), sia dopo la morte (Macerata, Camerino, Maratea, Sassoferrato, Treia, Roma), emerge la predisposizione avuta fin da bambino per il disegno, tanto che quando la mamma Luisa lo metteva in castigo, "lui graffiava con le unghie l’intonaco del muro, rappresentando figure di animali e di preferenza cavalli". Vincendo le resistenze del padre Bruno, che lo avrebbe voluto studente in un istituto professionale a indirizzo meccanico, Elvidio Farabollini nel 1946 si iscrive all’istituto statale d’arte di Urbino, dove ottiene il diploma di "ornatore del libro" e successivamente il diploma di abilitazione all’insegnamento della calcografia. Tra i suoi compagni di corso in quegli anni, c’è il coetaneo maceratese Nino Ricci, con il quale stringe un’amicizia destinata a consolidarsi in futuro, a cominciare dagli anni in cui entrambi frequentano l’Accademia di belle arti a Roma, che Farabollini però abbandonerà presto. A farlo desistere non sono le difficoltà economiche che lo costringono a lavorare per mantenersi agli studi (cosa che aveva fatto anche a Urbino), ma piuttosto il grande dispiacere provato per il furto subìto di una grossa somma che era riuscito a guadagnare realizzando il cartellone pubblicitario del film "Robinson Crusoe". È tanta l’amarezza che Farabollini decide di rientrare a Treia, dove si sposa con Anna Bartoloni, madre dei suoi due figli: Franca Laura e Piero (attualmente docente all’Università di Camerino e già commissario straordinario per la ricostruzione post-terremoto). In quei primi anni a Treia, Farabollini lavora come ceramista e disegnatore modellista, senza mai abbondonare la pittura e l’incisione, cui si dedica costantemente nel chiuso del laboratorio ricavato al piano terra della sua casa. Gli anni Sessanta sono per lui un decennio di soddisfazioni artistiche. Si susseguono mostre personali e partecipazioni a collettive d’arte. Ottiene anche molti premi, tra i quali "Il Torchio d’Oro" per l’incisione a Fabriano, il premio "Capo d’Orlando", il premio per il disegno a Pratola Peligna e il premio alla Biennale dell’incisione a Taranto. In questo decennio l’attività artistica diventa dominante nella vita di Farabollini, che vince anche il concorso per la cattedra di disegno e storia dell’arte, insegnando all’istituto magistrale di Camerino. Paola Ballesi, che a gennaio dell’anno scorso, a Roma, ha curato la mostra dedicata all’artista treiese dal Cesma, al Pio Sodalizio dei Piceni, ricorda che "determinante per Farabollini fu l’insegnamento di Mino Maccari, suo professore di tecniche dell’incisione. Anche nell’attività didattica egli manifestava avversione alla retorica accademica e alle mode esterofile". Nel 1990, a Treia, si svolse una grande mostra retrospettiva della vasta produzione artistica di Elvidio Farabollini, alla cui organizzazione contribuì un comitato scientifico composto, tra gli altri, dai maceratesi Silvio Craia, Lucio Del Gobbo e Nino Ricci. Nel catalogo, a cura di Goffredo Binni e Valerio Volpini, quest’ultimo, giornalista e scrittore fanese, scrive: "... e ora, mentre la sua intensa produzione grida il suo amore per la vita, non si può non sentire lo struggimento della mancanza".