"Emofilia, guarire non è un’utopia"

Il Centro di cura compie 50 anni. Cantori: "Seguiamo 350 pazienti, la terapia ha fatto passi da gigante"

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di Franco Veroli

"Oggi un malato di emofilia ha la stessa aspettativa di vita delle altre persone perché la terapia ha fatto passi da gigante. E, sia pure per pazienti selezionati, in un futuro non lontano, con la terapia genica si potrà arrivare alla guarigione". La dottoressa Isabella Cantori, responsabile del Centro di riferimento regionale per la diagnosi e cura delle malattie emorragiche congenite e trombofilia, che fa capo all’Unità Operativa di Medicina Trasfusionale dell’ospedale di Macerata, sottolinea lo straordinario cambiamento avvenuto nell’arco di qualche decennio. "Il Centro di Macerata, unico nelle Marche, celebra quest’anno i suoi 50 anni. E lo fa con un convegno in programma domani nella Domus San Giuliano, a partire dalle 9, per discutere dell’importanza dell’approccio multidisciplinare nel trattamento dell’emofilia, iniziando con un focus sulla Fisioterapia". Oltre alla Cantori ci saranno, tra gli altri, Giorgio Caraffa e Leonardo Mucci di Macerata, Chiara Biasoli di Cesena, Elena Boccalandro di Milano, Matteo Dario Di Minno di Napoli.

Quanti sono i pazienti seguiti dal Centro?

"Circa 350. Di questi 120 affetti da emofilia A e B, a diversi livelli gravità, altri dalla malattia di Von Willebrand, o altri difetti rari della coagulazione. Un numero considerevole che riusciamo a trattare grazie allo sforzo e al lavoro di squadra di medici, infermieri e tecnici, coordinati dal direttore del Trasfusionale, Giovanni Ribichini. Svolgiamo anche, però, una rilevante attività di consulenza per molti ospedali di tutte le Marche".

Com’è cambiata negli anni la terapia contro l’emofilia?

"È passata dal plasma ai fattori plasma derivati, poi sono arrivati i fattori della coagulazione ricombinanti, cioè sintetici. In ogni caso il trattamento si fa somministrando il fattore mancante. Si tratta di infusioni che devono essere effettuate duetre volte a settimana per aumentare il livello del fattore mancante, così da garantire una maggiore protezione ed evitare i sanguinamenti più gravi. Più di recente abbiamo in uso una nuova terapia".

Di cosa si tratta?

"Sto parlando del primo anticorpo monoclonale (Emicizumab), raccomandato per pazienti selezionati con emofilia di tipo A, che agisce imitando la funzione di coagulazione del fattore VIII. La novità sta anche nel fatto che il trattamento viene somministrato unadue volte a settimana tramite iniezione sottocutanea, migliorando in modo decisivo la qualità della vita dei pazienti rispetto ai trattamenti standard che richiedono una infusione endovenosa".

E si profilano all’orizzonte ulteriori importanti risultati con la terapia genica…

"Assolutamente sì. Siamo ancora agli studi clinici iniziali, ma questi sono più che promettenti. L’emofilia è causata da un gene mutato, "sbagliato" che non produce più il fattore di coagulazione del sangue: si tratta di somministrare il "gene corretto" per ripristinare la produzione del fattore mancante. Al momento, però, questa terapia è molto costosa e riguarda pazienti selezionati che rispondono a determinati requisiti. Ma la guarigione non è più un’utopia".