Maxi frode fiscale a Macerata, 30 indagati. Sequestri per 41 milioni di euro

Operazione della Guardia di finanza. "Associazione a delinquere con centro a Recanati"

La Guardia di finanza ha scoperto una maxi evasione fiscale (foto d’archivio)

La Guardia di finanza ha scoperto una maxi evasione fiscale (foto d’archivio)

Macerata, 4 ottobre 2018 – Scattata stamattina, alle prime ore dell’alba, una vasta operazione, denominata «Ghost tax», a contrasto delle grandi frodi fiscali, che vede impiegati circa 150 militari, oltre che del nucleo di polizia economico-finanziaria di Macerata, anche di numerosi altri reparti del corpo in sette regioni (Marche, Puglia, Lazio, Toscana, Campania, Veneto e Lombardia).

I finanzieri, al termine di un’articolata attività investigativa durata oltre un anno, hanno dato esecuzione a 51 perquisizioni domiciliari e locali nei confronti di 30 indagati, 11 dei quali sottoposti alla misura cautelare personale degli arresti domiciliari.

Ammonta a oltre 41 milioni di euro il provvedimento di sequestro preventivo di beni emesso dal gip di Macerata, su richiesta della Procura.

Le indagini, coordinate dal procuratore capo Giovanni Giorgio e dalle due sostitute procuratrici addette alla trattazione specializzata di reati tributari, hanno permesso di disvelare e disarticolare un’associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, che aveva il suo fulcro a Recanati, nello studio di un professionista, e ramificazioni in diverse regioni.

L’organizzazione, diretta e partecipata da professionisti con specifiche competenze tecnico-giuridiche, aveva studiato e messo a punto una particolare frode fiscale attuata mediante l’illecita compensazione di crediti Iva inesistenti artatamente creati.

Il sistema di frode scoperto consisteva nell’artificiosa esposizione di ingenti crediti Iva (inesistenti) in capo ad aziende riconducibili agli indagati, le quali procedevano poi alla loro cartolarizzazione attraverso l’istituto dell’accollo del debito tributario di terzi soggetti, previo pagamento di un controvalore variabile tra il 20 e il 50 % del debito accollato.

L’utilità per i contribuenti con debiti tributari (veri) si concretizzava nella possibilità di risparmiarne buona parte di essi. Per l’impresa accollante, invece, l’introito costituiva puro guadagno, atteso che il credito era stato generato con artifizi contabili, quindi senza alcun movimento economico.

Secondo l’ipotesi accusatoria accolta dal gip del tribunale di Macerata, Domenico Potetti, in prima battuta il sodalizio ricercava e acquisiva imprese in decozione, affidandone la rappresentanza legale a prestanomi fidati e trasferendo fittiziamente la sede in grandi centri urbani, perlopiù – come accertato – in meri recapiti postali.

Una volta costituito il falso credito Iva, le aziende erano generalmente poste in liquidazione, in modo da conferire una parvenza di normalità all’accollo di debiti tributari di terzi.

Nello stesso tempo il sodalizio, attraverso i suoi compartecipi, si adoperava per procacciarsi i soggetti «clienti» – a oggi individuati in oltre 200, dislocati in tutto il territorio nazionale – con cui effettuare la compensazione del debito tributario.