ANTONIO TUBALDI
Cronaca

"Fuga dall’Heysel tra urla e morti. La maglia macchiata di sangue"

Non avrebbe voluto parlarne, Giorgio Calvaresi. Troppo forte il dolore, troppo vividi i ricordi di quella notte che ha cambiato...

Non avrebbe voluto parlarne, Giorgio Calvaresi. Troppo forte il dolore, troppo vividi i ricordi di quella notte che ha cambiato...

Non avrebbe voluto parlarne, Giorgio Calvaresi. Troppo forte il dolore, troppo vividi i ricordi di quella notte che ha cambiato...

Non avrebbe voluto parlarne, Giorgio Calvaresi. Troppo forte il dolore, troppo vividi i ricordi di quella notte che ha cambiato la storia del calcio europeo e la vita di chi, come lui, si trovava in mezzo all’inferno dello stadio Heysel di Bruxelles. Ma a distanza di cinquant’anni dalla tragedia, ha trovato la forza di raccontare quei momenti che ancora oggi segnano la sua quotidianità. Era il 29 maggio 1985 e allo stadio belga si giocava la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Doveva essere una festa, si trasformò in un incubo: 39 morti – di cui 32 italiani – e oltre 600 feriti. Calvaresi, originario di Monte Urano e da moltissimi anni residente a Recanati, cronista con la sua inseparabile macchina fotografica di ogni evento, era arrivato a Bruxelles con alcuni amici e il presidente della Monturanese. "Appena sbarcati ci siamo resi conto che la situazione non era tranquilla – racconta –. Le strade attorno allo stadio erano piene di bottiglie rotte". Una coincidenza fortuita, il ritardo all’ingresso, fu provvidenziale per lui e il suo gruppo. Trovarono posto nella parte alta della curva Z, quella dove di lì a poco si sarebbe consumata la tragedia. "Quando gli hooligans hanno sfondato le recinzioni e sono piombati nel settore, abbiamo capito subito che dovevamo uscire. I razzi ci fischiavano sopra la testa, sotto di noi c’era gente che stava morendo e noi non potevamo fare nulla". Calvaresi ricorda con amarezza quei momenti concitati tra urla, panico e corpi che cadevano sotto la pressione della folla in fuga. "Quando ho visto che la situazione degenerava, ho lasciato lo stadio. La partita ormai non aveva più senso, nonostante le 300mila lire spese per viaggio e biglietto. L’unico pensiero era rimanere vivi". Riuscì a raggiungere l’aeroporto grazie a un passaggio offerto da alcuni tifosi juventini di Udine. Solo ore dopo, con una telefonata, poté rassicurare la moglie e la figlia rimaste a casa. "Non esistevano i cellulari. Immagino cosa abbiano provato guardando le immagini in tv, senza sapere nulla di me. Solo una volta tornato a casa mi sono accorto che la maglietta era macchiata di sangue. Durante la fuga avevo aiutato dei feriti a raggiungere un punto di soccorso. Quelle macchie sintetizzano la tragedia dell’Heysel meglio di qualsiasi parola".

ant. t.