
Gioia Concina, 46 anni, figlia dell’ assistente della baronessa; Gioia aveva due anni quando sua madre morì
Macerata, 26 novembre 2024 – “Cara mamma, le cose sono andate così:…”. È quello che Gioia Concina, figlia di Gabriella Guerin – l’assistente della baronessa Rothschild - vorrebbe tanto dire alla madre che non c’è più. Ma dopo 44 anni, è ancora avvolta nel mistero la morte di Jeannette Bishop May, 40enne inglese ex moglie del banchiere Evelyn Rothschild, e della 39enne friulana che le faceva da interprete. Il “giallo dei Sibillini” è il cold case più famoso delle Marche, ma ha colpito l’Italia intera. A inizio mese la procura di Macerata ha riaperto le indagini ipotizzando un duplice omicidio e per due settimane il pm Francesco Carusi e il Ros di Roma hanno interrogato quattordici testimoni, tra cui molti ultraottantenni. Il 29 novembre 1980 la baronessa Rothschild, affascinante personaggio del jet set mondiale innamorata della montagna e appassionata di arredamento e antiquariato, sparì da Sarnano, borgo medievale dell’entroterra maceratese, insieme alla sua segretaria Guerin durante una bufera di neve. Il 18 dicembre l’auto della baronessa, una Peugeot scura, venne trovata nei pressi di Casa Galloppa, ad Acquacanina. Il 27 gennaio 1982 due cacciatori trovarono i resti a Podalla di Fiastra, a trenta chilometri dal luogo della scomparsa. Tante le piste che vennero seguite dagli inquirenti.
Gioia Concina, quanti anni aveva quando sua madre e la baronessa Jeannette scomparvero?
"Due anni. Sono nata nell’agosto 1978 e a settembre mamma scelse come madrina e padrino per il battesimo Jeannette e il suo secondo marito Stephen May, con cui sono rimasta sempre in buoni rapporti (gli scriverò una mail sul caso). Non ho mai conosciuto papà perché morì quando ero nel grembo di mamma in un incidente stradale; mamma era al quinto mese di gravidanza. Ho un fratello che ha nove anni più di me; all’epoca ne aveva 11 anni, ha vissuto la tragedia in prima persona, senza sapere per anno e due mesi se nostra madre fosse viva o morta. Oggi, parlando del caso, mi sembra di rivivere la mamma che non ho mai vissuto. Io e mio fratello siamo stati cresciuti da sua sorella, zia Caterina, che fu l’ultima della famiglia a vederla quando la accompagnò alla stazione a prendere il treno e raggiungere Jeannette”
Sua madre come conobbe la famiglia De Rothschild?
“In Inghilterra. Mio padre e mia madre emigrarono da giovani, negli anni Sessanta, per costruire la casa dove vivo tuttora, a Ronchis (un paesino di circa 1900 abitanti in provincia di Udine). Sapevano che si cercavano figure professionali come cuoca e autista/maggiordomo. Non credo che fossero consapevoli di quanto fosse nota la famiglia De Rothschild. Comunque, dai racconti di zia e mio fratello, papà e mamma non venivano trattati come servitori ma come amici, in un ambiente familiare. Nel 1975-76 tornarono in Italia”.

Che rapporto c’era tra sua madre e la baronessa?
“Pur essendo due donne con un vissuto molto diverso, tra loro c’era un’amicizia profonda. Mamma era molto buona, solare nonostante la disgrazia della morte del marito; socievole, a volte forse ingenua. Pensava che tutti fossero della sua stessa pasta”.
Cosa le hanno raccontato di quei giorni a Sarnano?
“All’inizio del 1980 Jeannette chiamò mamma per chiederle di aiutarla come interprete per seguire i lavori di un casolare da ristrutturare, in contrada Schito. Non so perché la baronessa avesse scelto proprio Sarnano, forse perché dal Centro Italia avrebbe potuto raggiungere più facilmente tutte le destinazioni. Mamma (in quel periodo senza lavoro e con due bambini) accettò di darle una mano, magari sperando in sbocchi lavorativi; la prima volta si fermarono quattro giorni. La seconda, a novembre, sarebbero rimaste un po’ di più per l’acquisto dei materiali. Alle 17 di quel 29 novembre si sarebbero dovute incontrare con un piastrellista o comunque un imprenditore del settore edile. Ma non si presentarono mai all’appuntamento. Era sabato. Le ricerche iniziarono nel primo pomeriggio di lunedì”.
Come le comunicarono la vicenda?
“Ero così piccola che non captai nulla, i grandi si impegnarono al massimo per non farmelo capire. Mi dissero che era in cielo con papà. A 10 anni zia mi spiegò. Da adulta ho ripreso in mano carte e documenti”.
“È un enorme rompicapo, non se ne viene fuori. Credo si tratti di un duplice omicidio, mamma aveva due figli piccoli, non penso andasse a fare una scalata quando alle 17 era già buio. Le ipotesi sono mille. Vorrei andare a Podalla di Fiastra, dove c’è una sorta di lapide con una croce, per rendere omaggio a mamma”.
Cosa si aspetta dalla riapertura delle indagini?
“Non voglio farmi false speranze. Vorremmo solo rendere giustizia a una martire e arrivare alla verità. Se fosse un altro buco nell’acqua sarebbe l’ennesima ferita. Nel 2005 il prof. dell’università di Camerino Franco Venanzi analizzò i resti di nostra madre confermando si trattasse di lei (precedentemente era stato riscontrato con l’arcata dentale). Se dalle indagini emergessero elementi rilevanti, saremmo disposti a dare l’ok per la riesumazione (la baronessa fu cremata, ndr). Vorremmo tanto avere pace, toglierci questo macigno per sempre e metterci un punto”.