I fiori del male nel giardino di provincia

Migration

Paola

Pagnanelli

Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male. Tornano sempre in mente le parole della bellissima canzone di Fabrizio De Andrè quando, sempre più spesso si direbbe, accadono episodi violenti nella nostra provincia. Dalla costa all’entroterra, passando per il capoluogo, gli ultimi anni sono costellati di storie dolorose, di ferocia, di crudeltà, di morte, di profonda miseria morale. Come se ogni tanto gli argini della nostra educazione cedessero sotto alle spinte della paura, della rabbia, della gelosia, dell’invidia, lasciando il campo agli istinti più brutali. Macerata è una provincia per antonomasia, eppure qui sono state uccise ragazze incontrate un giorno e donne anziane con cui si era vissuta una vita, sono stati uccisi commercianti ambulanti a cui si voleva rubare la clientela, rivali in amore o presunti tali, spacciatori, figlie esasperate dalla violenza dei padri. All’improvviso, in mezzo ai nostri bei giardini curati e annaffiati dai buoni studi, dalle giuste frequentazioni, dal benessere e dal benpensare, sono sbocciati questi brutti fiori del male. Proviamo orrore, critichiamo. Ma anche i fiori del male fanno parte del bouquet, purtroppo. Sono vicini a noi, fanno parte di noi. A giudicare penseranno i tribunali. A noi tutti, sbattuti all’improvviso davanti all’orrore inaspettato, non resta altro che armarci di tutta la nostra umanità, ricordare ancora con De Andrè che "se non sono gigli, sono pur sempre figli, vittime di questo mondo", provare a capire le ragioni, provare persino a perdonare. E soprattutto, dobbiamo ricordare che a volte per avere cura di un giardino ci si deve sporcare le mani.