
Il cantautore Lorenzo Sbarbati
Nostalgia di casa, ricerca di un percorso di vita e lotta a un profondo senso di sradicamento sono le componenti della nuova tappa artistica di Lorenzo Sbarbati. Classe 1991, il cantautore maceratese pubblica oggi il singolo "Radici senza terra" – prodotto da Ivan Amatucci –, proponendo una riflessione sulla condizione giovanile. Una presa di coscienza volta al tentavo di guarigione dallo sradicamento, sensazione che affligge chi non sente più sotto i piedi un terreno a cui ancorarsi e da cui partire per continuare a camminare.
Sbarbati, perché "Radici senza terra"?
"Ho immaginato "Radici senza terra" come una canzone generazionale, che tratta la sensazione di sradicamento provata da chi (come me, che ho 34 anni) è cresciuto a cavallo tra il mondo digitale e quello precedente. È una sensazione alimentata anche dalla velocità in cui si è continuamente immersi: velocità di rapporti, relazioni, conversazioni. In questa società post-valoriale che si nutre di tendenze non si trova più terreno fertile in grado di ospitare delle solide radici. Si è persa, così, anche la capacità di credere nelle cose, la forza d’immaginare mondi e prospettive diverse".
Il valore dell’immaginazione è quello che, da adulti, si riconosce alla sfera infantile, e di cui si ha nostalgia.
"Assolutamente. Nella canzone tocco l’argomento della nostalgia legato al ‘nostos’ greco, al concetto del ritorno, anche ritorno all’infanzia. Da bambini si era in grado d’immaginare posti mai visitati e storie mai vissute, lo sforzo creativo era molto più forte. Oggi la stessa AI diventa uno strumento pericoloso nelle mani di individui non consapevoli, perché si sostituisce completamente alla componente creativa umana. Proprio qui sta lo sradicamento".
È una condizione vissuta pure da generazioni più giovani?
"Sì. Nel loro caso la sensazione di disagio è però inconsapevole, chi non sa cosa c’è stato prima si sente sradicato da qualcosa che non conosce. Insegno Filosofia a scuola e mi chiedo spesso se alcuni pezzi della musica del passato, o film d’autore, oggi sarebbero ben recepiti, soprattutto se veicolo di messaggi importanti. Se questo non succede è perché abbiamo perso la profondità necessaria per capirli, vuol dire che la nostra sfera emotiva si è rimpicciolita e il linguaggio impoverito".
Essenziale è la figura del professore, per spronare alla riflessione e al pensiero critico. Come vive questo ruolo?
"Ho scelto questo mestiere consapevolmente ed è bellissimo lavorare con ragazzi che ti riconoscono questa vocazione. Posso esprimermi di fronte a persone che hanno tempo da dedicarmi, cosa che spesso non succede nemmeno ai concerti. In classe si ha la possibilità di scandagliare le radici che fanno parte di ogni essere umano. Con più tempo a disposizione si riuscirebbe ancora meglio a far capire agli studenti che esiste tanto altro rispetto a quello che conoscono; quando questo succede non solo ti ringraziano, ma apprezzano le tue parole e le vivono con verità".