
Diciotto mesi al dipendente che fece cadere il fusto da cui partirono le fiamme
Assolti l’ingegnere Alfredo Mancini e la Orim per il maxi rogo nell’azienda di trattamento rifiuti speciali di Piediripa. Si è chiuso ieri il processo a carico di Mancini, 80 anni, la Orim e il dipendente Gianluca Gazzani, 37 anni, seguito all’incendio del 6 luglio 2018. Ieri il giudice Andrea Belli del tribunale di Macerata ha assolto con formula piena Mancini e la Orim, ed ha ritenuto responsabile il dipendente per il reato di incendio colposo, condannandolo a 18 mesi, ma lo ha assolto con formula piena per i restanti capi di imputazione, legati all’inquinamento.
L’incendio, con l’enorme nuvola nera che si sviluppò sopra l’azienda, tenne la città con il fiato sospeso per un pomeriggio, con i residenti di Piediripa costretti a tenere chiuse le finestre e girare con le mascherine. Le accuse ipotizzate parlavano di una gestione negligente della Orim, con violazioni della normativa Seveso e danni ambientali: spento il fuoco, pompieri e consulenti tecnici avevano trovato sostanze pericolose e infiammabili accatastate in quantità (secondo l’accusa) superiori al consentito. Quanto all’antincendio, la caduta della pressione dell’acqua lo avrebbe reso inutilizzabile. Il rappresentante legale e l’operaio erano imputati anche per inquinamento ambientale. L’operaio era finito sotto accusa anche per incendio colposo perché, manovrando un muletto, avrebbe fatto cadere un fusto che avrebbe innescato il rogo. "Le accuse a carico dell’ingegnere Mancini (tiolare della Orim, ndr) erano particolarmente gravi e articolate – si legge in una nota dell’azienda –: si ipotizzava che l’incendio fosse stato causato, o comunque aggravato, da presunte violazioni delle autorizzazioni in materia ambientale e antincendio. Secondo i consulenti della Procura, la presenza di sostanze pericolose avrebbe superato i limiti previsti dal certificato di prevenzione incendi, tesi sostenuta pure dai vigili del fuoco. L’accusa tentava di attribuire alla Orim anche la responsabilità dell’inquinamento della falda acquifera e del fiume, a causa del dilavamento provocato dalle acque usate per lo spegnimento".
Al termine del dibattimento durato anni, il tribunale ha assolto Mancini da tutti i reati contestati "perché il fatto non sussiste". Secondo il giudice, non vi è stata alcuna violazione da parte della Orim rispetto alle autorizzazioni ambientali o alle norme che regolano l’attività di trattamento dei rifiuti pericolosi. L’istruttoria ha evidenziato che l’azienda ha operato nel rispetto delle normative del settore. "I consulenti della difesa – si legge nella nota della Orim – hanno dimostrato l’infondatezza delle accuse, confermando l’assenza di qualunque carenza nel controllo interno sulla gestione dei rifiuti, sulla natura delle sostanze trattate e sui quantitativi. È stata, inoltre, esclusa ogni responsabilità della Orim nella gestione delle operazioni di spegnimento dell’incendio, affidate ai vigili del fuoco, che hanno operato in autonomia. L’istruttoria ha chiarito anche l’assenza di responsabilità in relazione all’inquinamento del fiume e della falda, al presunto superamento delle soglie di rifiuti infiammabili, alle difformità antincendio e al supposto superamento della soglia Seveso. Cadute anche le accuse di mancata adozione di un modello organizzativo per prevenire i fatti contestati". Mancini è difeso dall’avvocato Paolo Giustozzi, la Orim dall’avvocato Nicola Perfetti e l’operaio dall’avvocato Donatello Prete. "Per le responsabilità legate all’inquinamento il mio assistito è stato assolto con formula piena – ha detto Prete – Per l’incendio attendo di leggere le motivazioni e valuterò il ricorso in appello".