"Mi iscrissi a Economia e commercio, ma cambiai dopo due settimane puntando con decisione e convinzione su Medicina". Il maceratese Riccardo Antonio Ricciuti, 58 anni, è il direttore di Neurochirurgia al San Camillo Forlanini di Roma, una struttura con mille posti letto, uno dei più grandi trauma center e riferimento in Italia per l’ictus. "Da otto mesi – dice – sono direttore Uoc al San Camillo Forlanini dove posso contare su 14 medici e 50 infermieri: abbiamo 20 posti letto di degenza normale, 10 di terapia intensiva dedicata alla neurochirurgia. Prima di Roma sono stato per sette anni direttore di Neurochirurgia e direttore del dipartimento di Neuroscienze a Viterbo. Prima ancora ho lavorato 20 anni ad Ancona".
Dottor Ricciuti, ma allora l’idea di diventare medico non è stata coltivata nel tempo, avendo scelto prima Economia e commercio...
"In realtà era un’idea che avevo sotto le ceneri e si è anche sviluppata nel tempo. Tuttavia mio nonno e zio erano costruttori e il progetto era che io continuassi sulla loro strada. Ricordo che quando decisi lasciare Economia e commercio per Medicina i familiari mi guardarono storto perché non avrei proseguito l’attività".
Qual è stata la molla che l’ha spinta a studiare Neurochirurgia?
"Ero interessato al sistema nervoso centrale che condiziona ogni scelta della vita, il cervello è la sede della res cogitans, è il cervello che ci dà le sensazioni, i pensieri, che ci fa fare i movimenti, le scelte, che conduce gli altri organi. Sono stato mosso da un grande amore per la neurochirurgia dove pensavo che avrei potuto essere d’aiuto per molti pazienti".
C’è un caso che ricorda con affetto?
"Ho eseguito più di 4.000 interventi e ci sono stati casi molto interessanti e difficili andati a buon fine. Però mi sono rimasti impressi quelli in cui la chirurgia ha solo potuto dare un aiuto al paziente riducendo il problema, prolungandone la vita, magari migliorandone la qualità, ma alla fine quelle malattie maligne hanno avuto esiti infausti. In quei momenti ho toccato con mano l’importanza del rapporto umano tra medico, paziente e i suoi familiari. Conservo ancora nel cuore questi rapporti di affetto verso i familiari di chi non c’è più e di loro verso di me".
Ma il medico dovrebbe non essere travolto dal dramma di un malato?
"Ogni volta io ne vengo travolto, quando parlo con pazienti che hanno problemi rilevanti. A volte so che quella persona non ci sarà più tra qualche anno e mi sento coinvolto. Il medico deve avere un’empatia con il malato, non può non mettersi nei suoi panni e in quelli dei familiari. Il mondo è una ruota: noi siamo medici ma saremo pazienti e potremo avere quegli stessi problemi".
Quindi il medico deve essere coinvolto?
"Sì, ma deve avere la forza di rialzarsi. Quando muore un paziente anche il medico muore con lui, ma poi deve risorgere. Ci sono momenti in cui devi essere freddo, distaccato quando operi o fai delle scelte devi indossare una maschera, ma il paziente deve sentire che stai con lui totalmente".
Cosa le hanno lasciato i training in Neurochirurgia che ha svolto a Toronto, Hannover, Erlangen, Montpellier?
"Sono stato a lungo in queste realtà dove ho sviluppato alcune conoscenze e tecniche. A Toronto sono stato al fianco di Fred Gentili, un eccezionale neurochirurgo che aveva origini sarnanesi: tornava spesso sui Sibillini assieme alla moglie Gina".
Quale consiglio dà a un giovane che si appresta a studiare Medicina?
"Di non avere paura degli esami ma di amare quello che studia perché è un’esperienza irripetibile. È una materia che insegna come funziona il corpo, che vi fa conoscere voi stessi".
I suoi figli hanno preso la sua strada?
"Non li ho mai condizionati, tuttavia il secondogenito è al quarto anno di specializzazione alla scuola di neurochirugia, la terzogenita è al quinto anno di medicina al Campus, il quarto sta finendo lo Scientifico e vuole iscriversi a medicina".
E il primogenito?
"Ha fatto Economia".
Lei da ragazzo studiava molto?
"Sì, 7-9 ore al giorno. Ricordo come se fosse oggi i Ferragosto passati sopra i libri, mentre gli amici partivano a fare le scampagnate".
Lei ora vive a Civitanova, è rimasto in contatto con gli amici maceratesi?
"Sempre, con alcuni ci sentiamo tutti i giorni. Mi sono poi integrato molto bene a Civitanova: la nostra provincia è una grande città".