La beneficenza a "spese" degli altri

Valentina

Capecci*

Una volta si diceva che la beneficenza non andava sbandierata. Non ho mai capito il motivo e non sono mai stata d’accordo. Secondo me funziona meglio al contrario, spingendo sul pedale dell’emulazione. La gente, si sa, tende a comportarsi come i propri simili e sapendo che molti donano molti altri doneranno. Senonché, negli ultimi tempi, alcuni gesti di filantropia hanno preso una piega bizzarra. Sono appena stata a un matrimonio e ai saluti, al posto delle bomboniere, ci viene consegnato un biglietto rivelante che gli sposi hanno preferito versare la somma, prevista per il cadeau, a un ente benefico. Confesso che tornare a casa con un piattino in silver o un pastorello di terracotta non era il mio sogno, ma avrei apprezzato molto di più una comunicazione diversa del tipo: "Ebbene sì, il mio abito nuziale è uno straccetto preso in saldo però, piuttosto che tempestarmi di pizzi e paillette, ho scelto di donare la differenza alla Lega del filo d’oro". Oppure: "Ci volevano regalare una luna di miele alle Seychelles, ma pur di favorire l’Amref ci siamo accontentati di una gita a Venezia e al castello di Gradara". Così sì, che avreste fatto beneficenza! Togliendovi qualcosa di cui potevate usufruire voi e non i vostri ospiti. D’altra parte, se questa nuova moda dovesse prendere piede, sarà ammesso rimpiazzare i cesti natalizi con la prova di un bonifico a una Onlus o consegnare ai figli, in sostituzione della paghetta, un versamento all’Unicef. Adesso che ci penso potrebbe essere una bella svolta. Domani infatti, al compleanno di un’amica che ha tutto, piuttosto che lambiccarmi il cervello faccio prima a devolvere l’ammontare per il regalo alla ricerca sul cancro. Sperando che invece di torta e pasticcini lei non ci rifili le ricevute dei suoi bollettini.

*Scrittrice