
"C’erano già stati segnali non trascurabili l’anno scorso. Quest’anno, però, il trend è impietoso ed evidenzia una marcata riduzione. Se, poi, si considera che molti di quelli che si laureano vanno a lavorare all’estero, si capisce bene come lo scenario – presente e futuro – sia piuttosto scuro". Sandro di Tuccio, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Fnopi) della provincia di Macerata è preoccupato: non per sé, ovviamente, ma per le sorti della nostra sanità, visto che il numero degli iscritti al corso di laurea in Scienze infermieristiche sta vistosamente calando.
Di che numeri stiamo parlando?
"In tutte le Marche i posti disponibili annualmente sono 450: 150 ad Ancona, 75 ciascuno a Macerata, Pesaro, Fermo e Ascoli. I dati sono ancora in via di perfezionamento, ma siamo in presenza di un calo di circa il 10%, in linea con quello italiano".
Che cosa sta succedendo?
"Nonostante il fatto che al termine del corso si trovi subito una occupazione e che – addirittura – molti vengano contattati prima di conseguire il diploma di laurea, la professione di infermiere non è più attrattiva. I giovani si dirigono verso altri lidi, non la giudicano appetibile".
Perché?
"I motivi sono diversi. Innanzitutto non c’è alcuna prospettiva di carriera. Non solo per chi sta in corsia, ma neanche per chi eventualmente decidesse di intraprendere un percorso di dottorato all’Università. E, poi, pesano il valore della retribuzione, magari dignitosa (1.4001.500 euro), ma del tutto insufficiente se rapportata al carico di lavoro e ai turni in esso inclusi, che può crescere – poco – solo in relazione all’anzianità di servizio. E, poi, c’è un problema di riconoscimento sociale della professione, che alterna l’affezione al disprezzo".
Cioè?
"Ricorda? Durante la pandemia siamo stati chiamati eroi, anche se abbiamo più volte sottolineato che stavamo solo facendo il nostro lavoro, che andrebbe sempre valorizzato. Subito dopo, invece, tornati ai tempi "normali", sono ripresi gli insulti, le minacce, le aggressioni. Un clima che certo non rassicura e non invoglia a intraprendere questo lavoro".
Che cosa bisogna fare?
"Serve un piano importante a livello contrattuale e organizzativo, per retribuzioni migliori e un clima di lavoro che consenta di poter svolgere la propria professione con serenità ed efficacia. Servono politiche incentivanti per indurre i giovani a scegliere questo lavoro (in Inghilterra, ad esempio, i tirocinanti sono pagati) e per frenare la fuga all’estero di quelli che si laureano".
C’è chi pensa di affrontare la situazione "importando" infermieri da altri paesi…
Di Tuccio sorride. Poi spiega: "Intanto non le sembra paradossale che noi facciamo fuggire i nostri infermieri all’estero e, poi, pensiamo di "importarli"? Certamente non arrivano dai paesi avanzati, in cui c’è carenza di questa figura professionale, ma anche perché sono pagati meglio. Li facciamo arrivare dagli altri Paesi? Ma dovremmo poi formarli, con costi che lei non ha idea quanto siano elevati. Insomma, a mio avviso questa è una prospettiva poco credibile e poco praticabile".
Come se ne esce?
"Servono scelte politiche coraggiose che rilancino la figura dell’infermiere. Altrimenti rischiamo grosso. Parliamoci chiaro: senza infermieri il Servizio sanitario nazionale muore".