di Paola Pagnanelli "Tanto questi di casa mi ammazzano. Se mi succede qualcosa non cercate fuori, cercate a casa". Questo ripeteva Rosina Carsetti, la 78enne uccisa il pomeriggio della vigilia di Natale del 2020 nella sua villetta a Montecassiano. Le sue frasi, le sue paure, i suoi tentativi di risolvere la situazione che si era creata in casa sono stati raccontati ieri dagli amici della donna e dall’operatrice del centro antiviolenza, a cui lei si era rivolta poco prima di essere uccisa, nel corso del processo in corte d’assise che vede imputati il marito Enrico Orazi, la figlia Arianna e il figlio di quest’ultima Enea Simonetti. A vario titolo sono accusati di omicidio pluriaggravato, simulazione di reato, rapina, maltrattamenti in famiglia, violenza privata, induzione a non rendere dichiarazioni, estorsione e furto aggravato. Ieri il pubblico ministero Vincenzo Carusi ha chiamato a deporre Talia Carassai, Annamaria Rocchetti ed Euro Carancini, amici della vittima, e la vicina di casa Silvana Bacelli. Dai quattro testimoni, finalmente, si sono sentite parole commosse nei confronti di Rosina, che più volte aveva parlato loro delle sue difficoltà. A tutti la donna aveva raccontato le difficoltà vissute da quando figlia e nipote erano tornati a vivere con i genitori: si sentiva esclusa, umiliata. A tutti Rosina aveva raccontato del dispiacere provato quando avevano deciso di fare delle modifiche in casa e in giardino, che lei amava particolarmente, senza neppure consultarla. Parlava del fatto che non le dessero soldi, che le impedissero di ricevere telefonate, di avere il riscaldamento, di usare l’auto. Aveva raccontato che i familiari l’avevano convinta a cedere la proprietà della villa al nipote per poter riavere la Fiat Panda, ma questa promessa non era stata mantenuta e lei c’era rimasta malissimo. Temeva che le ascoltassero le telefonate, perché sapevano tutto di lei. "Qualche volta le davo ...
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