Alessandro
Feliziani
Dopo il "Green pass", presto potrebbe arrivare un "election pass", ovvero un certificato elettorale digitale, scaricabile sullo smartphone, valido
per votare in un seggio diverso da quello cui si è iscritti.
Uno strumento utile a quanti,
per lavoro o studio, vivono lontano dalla loro città
di residenza, ragione,
per cui sono spesso costretti
a disertare le urne. L’istituzione dell’election pass è stata proposta dalla commissione governativa incaricata
di elaborare indicazioni utili
a favorire la partecipazione
al voto. Coordinata dall’ex ministro Franco Bassanini,
la commissione ha lavorato
per mesi quasi nell’ombra. Pochi ne conoscevano l’esistenza, ma ora che
la relazione finale di ben 280 pagine è stata pubblicata,
c’è da sperare che se ne possa cogliere i frutti, se non altro dopo i referendum
di domenica scorsa, che hanno fatto segnare il minimo storico di partecipazione al voto.
È pur vero che la consultazione referendaria vive da tempo
una crisi tutta propria, aggravata da un suo uso eccessivo (72 referendum in 48 anni) e distorto, che ha fatto crescere il disinteresse degli elettori, ma la disaffezione
a recarsi alle urne si è vista anche nelle elezioni comunali, dove la percentuale media
di votanti è stata appena superiore al 50 per cento, segno che il distacco
della gente verso la politica cresce pure a livello locale.
La commissione ha avanzato anche altre proposte: concentrazione di tutte le elezioni in giorni fissi dell’anno, possibilità di votare
nei quindici giorni precedenti presso gli uffici comunali, nonché altri accorgimenti rivolti al cosiddetto "astensionismo involontario", cioè agli elettori
che vorrebbero votare, ma poi quel giorno non possono.
Gran parte dell’astensionismo, però, è dato dall’indifferenza, cresciuta con l’avanzare della crisi della politica. Per questi elettori "disillusi" non ci sarà "election pass" che tenga.
Solo i partiti, riconquistando appieno la loro fiducia, potrebbero ricondurli a votare.