SEBASTIANO VEROLI
Cronaca

L’infermiere Sandro Di Tuccio: "Il mio giro del mondo in un anno a bordo della Amerigo Vespucci"

Il presidente dell’Ordine ricorda la sua esperienza sulla nave: quaranta giorni senza poter comunicare

Il presidente dell’Ordine ricorda la sua esperienza sulla nave: quaranta giorni senza poter comunicare

Il presidente dell’Ordine ricorda la sua esperienza sulla nave: quaranta giorni senza poter comunicare

"Quando torna in Italia vado sempre a vederla, sono in contatto con i colleghi a bordo, ne seguo il percorso sui social: l’Amerigo Vespucci rappresenta una tappa fondamentale nella mia vita e nella mia professione". Vent’anni più tardi, in occasione del 2 giugno e della conclusione del giro del mondo dello storico veliero della Marina Militare, Sandro Di Tuccio, infermiere all’ospedale di Macerata, 53 anni, componente della Commissione d’albo infermieri della Fnopi e presidente dell’Ordine di Macerata, racconta la sua carriera, iniziata come infermiere militare. "Sono orgoglioso di portare due divise", dice Di Tuccio.

Quando si è arruolato? "Nel 1991, finito il liceo, ho frequentato la scuola infermieri della Marina e mi sono diplomato nel 1994. Poi, già dopo una settimana, mi sono subito imbarcato sulla nave Audace a La Spezia. Negli anni successivi ho fatto diverse esperienze di navigazione, toccando tra le altre città come Ancona e Taranto fino a quando, nel 2001, sono salito a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci, dove sono stato chiamato a far parte dell’equipe sanitaria, composta da quattro infermieri e tre medici di cui un chirurgo e un anestesista".

Quanto è durato il viaggio? "Il giro del mondo è durato un anno. A bordo c’erano 450 persone. Io mi occupavo sia della parte infermieristica che della patologia clinica, perché ognuno di noi aveva una doppia specializzazione. L’Amerigo Vespucci è una nave che non permette l’atterraggio per gli elicotteri e, quindi, nelle lunghe traversate c’è bisogno di personale pronto a fronteggiare qualsiasi emergenza. Nella traversata da Honolulu alla Polinesia, siamo stati 47 giorni nell’oceano Pacifico: nessuno poteva raggiungerti prima di 10 ore. All’interno del veliero, ci sono una sala operatoria, uno studio radiologico e uno di patologia clinica".

Che tipo di attività svolgeva? "Mi è capitato di gestire con i colleghi un principio di appendicite e un piccolo intervento chirurgico, ma l’attività ordinaria era concentrata su traumi, interventi di sutura e ingessatura, visto che l’equipaggio era costantemente impegnato in attività manuali".

Quali i ricordi che considera indelebili? "Sicuramente la partenza, è struggente. È un’esperienza bellissima, anche se difficilissima. Nel mio caso lasciavo i miei figli piccoli, e in alcuni periodi di navigazione ho trascorso 40 giorni senza poter comunicare, nemmeno con il satellitare: ero in mezzo al mare e vivevo in un limbo. Un aspetto questo, che insieme ad altre criticità può dirottare verso altre carriere professionali".

Qual è la criticità più rilevante? "Ancora oggi è il mancato riconoscimento dal grado di ufficiale cui hanno diritto, ad esempio, farmacisti e psicologi. Abbiamo infermieri laureati e con dottorato di ricerca ancorati al ruolo di maresciallo, nonostante in tutto il mondo siano riconosciuti ufficiali. È un problema che va risolto perché scoraggia i colleghi a intraprendere questa carriera o li spinge a lasciarla. Ed è veramente un peccato, perché si tratta di una esperienza che può donarti tantissimo, sia umanamente che professionalmente. Per me è stata un pezzo di vita difficile, ma profondamente appassionante".

Che cosa è significato fare l’infermiere a bordo della Vespucci? "Far parte dell’equipaggio della Vespucci, che considero la nave più bella del mondo, rappresenta un privilegio enorme e ti rende fiero ogni giorno di quello che fai. Qui sono nate amicizie fraterne e legami indissolubili, e ho vissuto esperienze che oggi caratterizzano il mio approccio alla professione. Mi porto dietro un profondo senso del dovere e la capacità di trovare sempre una soluzione, anche quando sei solo. Ho sviluppato una grande capacità di adattamento e di gestione del problema molto più proattiva con una formazione che mi ha permesso di affrontare i problemi quotidiani in maniera onesta e serena".